Desiderosi di luci spente, diffidenti verso altisonanti e roboanti, con Elena verso l'"Ariston" in direzione "un film mongolo". Esordio alla regia dell'attore Balžinnâm Amarsaihan, classe 1977 di Ulan Bator, "L'ultima luna di settembre" (2022) è un buon filmetto a cottura lenta, sui sapori di una volta, con più d'un rischio d'attaccarsi alla padella. Niente di bruciato, ma un piatto piuttosto scontato.
Lo squillo che non t'aspetti, per un incipit suggestivo, ché "negli ospedali si peggiora!". Tra serio e faceto, coi personaggi ora drammatici ora macchiettistici, la pellicola non imbocca una strada. Rimorso e rimpianto separano generazioni. Il preistorico conflitto tra agricoltori e pastori risolta da un'amicizia solitaria (quando ce n'era per tutti). Turga e Tuntulé, gigante buono e piccolo vivace uniti da una carenza. Nonostante l'ottima padronanza dei tempi e dei silenzi del regista/protagonista, la fuga del bambino dalle risate dei grandi per il suo analfabetismo fa rientrare la pellicola nel filone dei buoni sentimenti, cui parrebbero sovrapponibili i colori disneyani (il nonno-padrone con la frusta). Pellicola alfine dai toni troppo pedagogici, coi valori agognati calcati: amicizia, delicatezza, solidarietà...
La rincorsa del furgone in partenza, che puntualmente inchioda, con abbraccio disperato è da censura (una dittatoriale ma bonaria intelligenza artificiale dovrebbe impedire di salvarla su alcun supporto). Girato e propositi buoni per un filmetto d'esordio, Elena più delusa del sottoscritto, ma continuo a fantasticare comunque meglio d'ogni "italiano" in sala.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento