Calori silenziosi

Manca ancora qualche film della scorsa stagione. E mica qualunque. Il primo è "Terra e polvere" (t.o. "Ritorno alla polvere"), scritto e diretto da Li Ruijun, cinese classe 1983. Coefficiente di difficoltà come la sensibilità del regista. Uomini e natura uniti in qualcosa che, ormai, pare fantastico. La pellicola sta su come la casa eretta dai due dolci protagonisti, colle ruspe civilizzatrici già in funzione.

In concorso alla 72a Berlinale grazie a uno stuolo di contributor: "Aramy", Alibaba", "Qi-Zi" e "Dreams". Al secondo fotogramma, la mente alla pulizia registica di Yimou. Eccoli, Ferro & Guin, tra imbarazzi contenuti con tenerezza (Ferro è fratello di Oro e Argento (con sangue di panda)). La scelta del silenzio, un giaccone donato sulle spalle, gesti profondi (che giungono a toccare).  Ingegnosi ed efficaci escamotage di luci e colori.
Intanto l'ammodernamento demolisce e sgombera (i poveri). Che poi, nel segnare le abitazioni come "Immobile disabitato da lungo tempo", c'è molto di sensato. Sensibili ai germogli e al destino del grano, i nostri reduci d'un altro mondo rideranno sotto la pioggia. Commovente senza commuovere, piccola perla rotonda, imperfetta: opaca e trasparente. Metafora emorragica, infatti "il sacchetto del sangue è pieno!" Ma la m.d.p. non insegue le isterie indotte di oggi. Con gli alti e bassi che spetterebbero solo a chi non ha certo tempo per le rondini (che equivarrebbe, o dovrebbe a, "per l'uomo"). "Far da sé" fa cantare le bottiglie rotte. Mentre "se quello muore, chi paga?" ammutolisce l'anima. Lavorare "con" e non "come" un mulo (ne ha abbastanza d'essere sfruttato).
Senza accelerazioni, ci pensa la fredda risoluzione fotografica a raggelare il tempo. [il mio gioco: avrei chiuso sulla mano della defunta]. Dopo l'accidente misterioso il film pare smarrirsi, quanto il suo contadino-muratore, nella ricerca di un finale che picchi a sufficienza, anestetizzando il dolore. Non serve: le sofferenze di questo splendido film ne rivelano le gioie.
(depa)

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