Quando Simone da Abbiategrasso Fermata ti lascia con un titolo, difficile resistere al tormentone. "Kes". "Kes"..."Kes". Giorni e notti, sino a quando uno deve vedere "Kes". Ed è un bene, ché il film d'esordio di Ken Loach, datato 1969, dice da dove partì quella critica sociale che lo ha reso unico. Tutto inizia con l'infanzia, quella delicata fase in cui un ragazzo alza le prime difese, armandosi della polvere che si è.
Dal romanzo "A Kestel for a knave" (1968) di Barry Hines (1939-2016), diretto da Kennet Loach. Sui passi di un piccolo Casper escluso, ma senza piagnistei. Loach inquadra bene la dignità del giovane protagonista, Billy, scoiattolo che si vorrebbe volante. Ma "è proprietà privata". Anima volatile, tra persi nei pozzi, Billy fuggirà nella falconeria. Il nepotismo delle giovanili di calcio, col pittoresco allenatore che insegna il "fair play", poi il preside...Scuola. Bullismo e docenti. Tutto santificato: regno e sua volontà. L'infanzia di Billy e alcuni coetanei, nella stupenda fotografia azzurra ferrigna del regista/direttore di Kingston, classe 1940, Chris Menges. I bambini fanno sempre un dono a lasciarsi riprendere.
Poetico, con sprazzi di umanità, isolati nel freddo assistenzialismo, solo nelle comunità di quartiere. Il "Balthazar" infantile, e maschile, di Loach. Grande Billy (David Bradley, classe 1953). In effetti, Mr. M3 "Linea verde", "Kes" è da vedere.
(depa)
<3
RispondiEliminavoleva essere un cuore di apprezzamento
RispondiEliminagrande esordio