WOODY 50

Grande Woody. Woody Allen fedele a se stesso, anche anagrafico, innamorato e debitore dell'industria del sogno, maneggia la commedia con disinvoltura, da atletico ottuagenario. Il suo cinquantesimo film, "Rifkin's Festival" è puro...Lui.
I suoi caratteri, il suo sound. Altri amori complicati, tra luci da sogno e donne uguali. Vittorio Storaro dietro ogni finestra (anche negli armadi), sempre le otto di sera nella folgorante San Sebastian. Docente colto, sfigato alter-ego classico del regista newyorkese (bravissimo Wallace Shawn), ne sa di cinema e di altro. Le visioni del buffo e supponente, come già in passato, solluchereranno gli appassionati. Lo so, c'è chi non sopporta; è psicosomatico. Facile coi cinefili, per lunghi tratti commovente, può provocare brividi e luccichii. Immagino, poi, per chi ha avuto la fortuna, soldi e tempo, per assaporare un festival del cinema (tanti film in una bella città). La commedia scorre su meccanismi così oleati, che qualcuno, il ritmo, nemmeno lo coglie (...). Eppure, s'è scivolato armonicamente sulle turbe dei protagonisti, le loro ambizioni, le loro foie, tra gli amorevoli fantasmi del cinema, riandando e tornando, mi tocco il petto chiedo grazie ed esco. L'anagrafico scritto sopra, parlava proprio di un umano e sincero rallentamento cardiaco, che apprezzo, quasi pretendo.
Attori a dir poco affascinanti, col solo Pallino cinico ed ironico a ruotar nel mezzo, lo swing di una sbandata che, grazie alla Natura!, è sempre possibile. Anche rivelatrice; degli acuti rimpianti, delle silenziose proteste, dei prolungati spettacoli.
La facile piaggeria che sottostà ai simpatici omaggi alle più consumate sequenze d'essai, si scontra con gli elementi stessi del cinema di Allen. Cura maniacale, ironia graffiante, profondità psicanalitica. Basti rivedere la sequenza precedente alla prima, suggestiva-va-da-sé, rievocazione felliniana: l'orchestrazione del maestro riminese era già nei tagli ben sincronizzati dei passanti del parco. Come dire, non solo citazioni opportun(istic)amente confezionate, ma una densa conoscenza dei maestri del cinema classico, i suoi arcinoti ispiratori, della loro individuale e preziosa visione del mezzo artistico. Una lettura degli autori, accademica se si rischia, ma che risulta necessaria (a quel che vedo attorno). Oppure basti sentire le giuste corde toccate, tra una risata isterica e un whiskey imbarazzato. Non solo rose e fiori. Non serve uno psicanalista: a ottantacinque anni, tardi, lo si è capito.
La ripetitività pare un problema solo con Woody. In altri casi, addirittura, si ululerebbe "tradimento!". Sarebbe l'ora di accettare questo acuto autore di New York, figlio della sua cultura, tra i pochissimi eredi diretti dei grandi della commedia cinematografica.
(depa)

1 commento:

  1. Commedia piacevole come tutti I film di Woody. Incredibile come col passare degli anni il regista New yorkese sia sempre se stesso pur rimanendo sempre attuale. Bellissima la tua recensione, Depa. Difficile aggiungere qualcosa. Bless

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