Incominciato ieri il Festival del Cinema Coreano di Firenze (FKFF! online: per Kim). Il film d'apertura è stato "Josée", del 2020, diretto da Kim Jong Kwan, classe 1975, al suo quarto lungometraggio. Ineccepibilmente girato, rappresentante la più scontata delle storie d'amore. Le immagini non coprono la scarsa profondità di intreccio e dialoghi; questa volta la scuola coreana non tiene a bada il sentimentalismo.
Budapest 1987. Esservi nato, "Fantastico". Nei luoghi del racconto in alta definizione poetica. Uso dei colori di grande efficacia, fotografia impeccabile, scenografia che esalta le capacità del regista (l'attenzione per gli spazi di cui parla nella presentazione). Ma una noiosa retorica appesantisce il tutto, relegando la pellicola tra quelle che...odio. "Quello fu il nostro primo incontro". Una ragazza sfortunata, un ragazzo fortunatissimo (non una cima, neh), ma lui vede la madre rovistare quindi s'intenerisce. Sento "scrick" ("Stucch"). Vita vuota (da "corpo vellutato"), vita piena (libri, no mobile), luci romanzate, cesello di fuochi, musichette, tra cotanto sapiente silenzio, sotto l'arc de foliage. Ma, certo: "il capo dell'orfanotrofio era un mostro selvaggio".
Poi scopri che viene tutto da un romanzo del 1984 (Seiko Tanabe), già animato e rileccato nel 2003 ("tigre e pesce" che intravediamo). Opere importanti per il regista (ma cita anche Monicellì! E Sorentino). Buon per lui, male per me, che tocco questo melò flop, sentimental mooovieee con solitudini splendidamente incorniciate (e chiuse in sé) e ben interpretate dai due. "Lo farò: resterò con te", branchi di giraffe (spot della mente) e giri (doppi) sulla ruota. [Five years later...] in Scozia, a non reggere, finendo in terribili istanti malickiani (a quel punto, ben poco ormai da recriminare). Firenze-Corea parte benino.
Per Kim.
(depa)
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