I film di Woody Allen sono come le ninna (e come i film di
Chaplin): uno tira l’altro. Così, ieri sera in sala Ninna, altro grande Woody.
Correva l’anno 1977 e il regista newyorkese sfoderò una delle sue più grandi
opere: “Io e Annie” (“Annie hall”) è
una commedia, capolavoro della settima arte.
Il comico Alvy Singer (Woody Allen) si è lasciato con Annie
(Diane Keaton) dopo un anno circa di relazione e si ritrova ora a raccontare la
storia del loro rapporto, cercando di capire quali suoi problemi sviluppati
durante l'infanzia (depressione, nevrosi) possano essere stati complici della
fine della storia.
Inquadrature a spalla e fisse sempre decise e gestite con
grande maestria e stacchi di scena originali ed efficaci fanno sentire lo spettatore
sempre perfettamente “sul pezzo”, anche grazie al fatto che il comico e
scrittore Alvy spesso si rivolge alla cinepresa come per voler parlare al
pubblico in sala, gli altri presenti nella scena “lo seguono” e tutto si pone
all’improvviso su un piano diverso, come “tridimensionale”: c’è la storia del
film, Alvy che racconta cosa sta succedendo e il pubblico. Succede anche che,
quando Alvy ricorda fasi passate della sua vita, compaia con Annie e il suo
amico Rob (Tony Roberts) nel ricordo, come invisibile spettatore, mentre quel
fatto stava accadendo. Scelte “strane” che rendono il tutto magicamente più
reale e più finzione nello stesso tempo, mentre la sceneggiatura racconta, ad
un giusto e sostenuto ritmo, la bella storia d’amore lunga e travagliata trai
due bravissimi protagonisti.
I dialoghi non si risolvono mai banalmente, mentre i
monologhi che fa Alvy, rivolgendosi alla cinepresa (al pubblico) ti toccano l’anima
e/o ti regalano un sorriso: “…essenzialmente è così che io guardo alla vita:
piena di solitudine, di miserie, di sofferenze, di infelicità... e
disgraziatamente dura troppo poco.”, oppure: “Io ho un pessimo ricordo
dell'università di New York... Era... Successe che fui sbattuto fuori il primo
anno perché copiavo agli scritti di metafisica: sapete, stavo sbirciando
nell'anima del compagno accanto a me”. E il monologo finale è assolutamente
geniale, divertente e mette il punto esclamativo in fondo alla pellicola. Ma
anche i dialoghi con Annie, che finiscono con una battuta sarcastica di Woody,
sono tutti geniali: “-Tutte masturbazioni intellettuali! -Ah, finalmente un
argomento che conosci veramente a fondo! -Ehi, non denigrare la masturbazione:
è sesso con qualcuno che amo”.
Per concludere, in onore di questa straordinaria commedia,
voglio dare un po’ i numeri: nel 1992 “Io e Annie” è stato scelto per la
conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati
Uniti. L'American Film Institute l'ha inserito al 35° posto della classifica
dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, si trova inoltre al 4º
posto nella classifica delle migliori cento commedie statunitensi ed
un'espressione pronunciata in esso è stata inserita al 55º posto della
classifica delle migliori cento battute del cinema statunitense. “Io e Annie” si
può dire anche sia stato il film che consacrò Allen trai più grandi registi
americani, facendogli vincere 4 Premi Oscar nel 1978 (miglior film, miglior
regista, migliore sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista) più
una sfilza di altri premi e nominations.
Altro pezzetto di cinema in saccoccia.
(Ste Bubu)
Woody e le donne
RispondiEliminaFilm scalpitante, nello stile e nella tecnica. Allo stile, che è un pot-pourri eccentrico ben assortito di toni e accenti, qui più comico, là più sentimentale, (allo stile) marcia dietro una tecnica che le prova tutte, m.d.p. a spalla, piani sequenza (interni ed esterni), split screen “reali” (non realizzato in montaggio, ma tramite divisorio di compensato…), giochi di sottotitoli (per esprimere ciò che i due pensano, ben differente da ciò che dicono), incursioni di cartoni animati e immagini d’archivio.
Alti e bassi nella pellicola (Il racconto dello zio di Annie è davvero imbarazzante) a riproporre, astutamente, i medesimi comuni a tutte le storie d’amore.
Allen, nel pieno delle sue energie di 38enne innamorato, felice di sé, realizzato sul palco e nel letto, può ridere ancora più forte delle proprie manie, può scovare ancora meglio quanto ci sia di irrinunciabile (anche) in una storia finita male. Le storie fallite (o semplicemente terminate) ricche di elementi di crescita, di momenti che “pesano” nel bagaglio esistenziale, vale la pena asciugarsi le lacrime e guardarvi dentro, scatenando un sorriso.