Appena terminata la visione di "L'uomo di ferro" ("Tetsuo"), del 53enne giapponese Shinya Tsukamoto, si è ancora un po' sotto shock. Non male quest'esperienza, inventata nel 1989, tutta particolare, costruita sugli effetti visivi e sull'atmosfera allucinante.
La "Teatro dei mostri" presenta e già s'intuisce che qualcosa andrà in un verso, quantomeno, strano. La "serie di mostri di normale misura" prende il via e chissà come sono quelle di mostri più grandi...
Metallo, tubi, fil di ferro, ferro, cavi, plastica (poca). Techno e cyberpunk! La macchina e il corpo, la pelle si squarcia e il regista gira sapientemente, un po' videoclip, un po' sogno malsano; Cronenberg, altro che padre, qui pare un figlioccio spaventato.
Il bagaglio di ognuno, oltre che un incidente, può generare creature diverse in noi, il corpo farsi mero involucro di mutanto macchine, fuori da ogni controllo (fosse solo il nostro...). Il sesso poi, roba strana solubile, di questi tempi, pappetta torbida che può risucchiare in sé.
Cinema che graffia, schifa e stride. Si rischia di sboccare (vomitare). Esaltante.
Incubo che picchia duro e, a metà, soltanto t'illude che sia giunta l'ora della sveglia.
Esordio notevole del regista di Tokyo; stroboscopico e schizofrenico, con largo uso di stop-motion e montaggio ritmato, vietato agli epilettici.
(depa)
Un delirio feticista dell’allora ventinovenne Shinya Tsukamoto che espone attraverso immagini e musiche prevalentemente techno-psichedeliche (Parker e Waters apprezzerebbero).
RispondiEliminaLa trama è furiosa e un po’ difficile da seguire: un passaggio è impossibile (ho scoperto dopo) perché vi è di mezzo una superstizione giapponese ai più ovviamente sconosciuta e altri per chiara scelta del regista a cui la storia interessa sicuramente meno che colpire allo stomaco lo spettatore.
Allucinato e allucinogeno.