Questa sera, in sala Uander, Io ed Elena abbiamo recuperato un dente mancante. "Mamma Roma" di Pierpaolo Pasolini è un titolo che sta a pieno titolo tra le colonne di quel Partenone cinematografico di cui parlammo anni fa. Il regista romano d'adozione, un anno dopo il suo strabiliante esordio, richiama a corte quel Franco Citti che fulminò la critica, vi invita la più brava attrice italiana dell'epoca, un'incredibile Anna Magnani, e confeziona, in carta di giornale, roba da borgata, un gioiello in bianco e nero.
Bianco su nero, silenzio. Nero su bianco, musica. Inizia così un film che trasuda forza drammatica, in cui ci si emoziona sino alle lacrime dopo appena dieci minuti, sulle note di un euforico e straziante Violino Tzigano (dopo aver vissuto un ultimo pranzo stilisticamente meraviglioso). Nel viaggio attorno a Mamma Roma facciamo l'esperienza della giostra dei lampioni, moltiplicati, infiniti, con la fantastica e realistica sfilata dei disgraziati della terra ("i vinti, gli esclusi"), dei coatti destinati a finire dietro ad una mano, di quelli peggio (una passeggiata talmente potente da dove essere riproposta, in crescendo). Ci può capitare di ammirare il bucolico ingresso di Bruna, dolcevera ninfa tra le rovine di una Roma imperiale antichissima, oppure l'agrodolce danza di Ettore (su sinfonia che permetta di librarsi per vedere dall'alto, di sottrarsi alla polvere, alla disperazione) con sfondo una capitale da sogno (incubo) popolare. Ettore pinocchio burino che si perde lungo il sentiero delle borgate.
Il finale è un colpo secco, lo sguardo di "Sora" Roma ci inchioda, tutti coinvolti.
Dopo circa un anno, sullo schermo c'è un film più maturo del precedente (barocco è un termine troppo pulito e inamidato), meno istintivo, meno acerbo; si può notare sotto molteplici aspetti: nella tecnica (qui, zoomate, rallenti e giochi di luce), nella recitazione (esclusa la stella Magnani, chiaramente più luminosa, lo stesso Citti risulta più composto di Vittorio Cataldi, sotto più aspetti; si può dire che passi due testimoni a Ettore Garofolo), anche nel linguaggio (più "italianizzato"). Non necessariamente uno è preferibile all'altro: non de-gustibus, bensì due "Colossei".
Film perfetto.
(depa)
Era parecchio tempo che anch’io avevo questo film in archivio, pronto per essere tirato fuori al momento giusto (me ne parlò l’Inge, per primo, addirittura l’estate scorsa) e quando ho visto la recensione, ho pensato che il momento fosse arrivato.
RispondiEliminaChe dire di questo gioiellino della settima…
Il clima che si respira è lo stesso di “Accattone”: siamo in periferia di Roma, dove risiedono “gli ultimi” che sanno che saranno sempre tali, ma che fanno di tutto per vivere, prima ancora che sopravvivere.
In più c’è questa figura principe, anzi principessa, di Mamma Roma: una donna a cui il soprannome “mamma” calza a pennello per il modo in cui si relaziona con tutte/i e per la dedizione totale che ha per il figlio, non eccessivamente riconoscente, ma la sua età è ancora adolescenziale e certe situazioni, per un ragazzino, sono difficili da capire e metabolizzare, soprattutto se si vive in una realtà così difficile e complessa, come quella.
Una pellicola molto emozionante, un personaggio più interessante e affascinante dell’altro (Mamma Roma, il figlio Ettore, ma anche Bruna, su tutti) e un finale perfetto che è veramente un colpo al cuore per Mamma Roma e per lo spettatore, ma Pasolini, sia in “Accattone” che in “Mamma Roma”, secondo me, volle sgomberare il campo da ogni dubbio: sì, magari si ride, si scherza e si socializza piacevolmente, tanto che il clima in quelle borgate romane può anche apparire, a più riprese, piacevole, ma questo è per il sopracitato istinto alla vita che anche “gli ultimi” hanno, mentre in realtà, in quei luoghi, la vita è durissima e la disperazione e le tragedie sono sempre in agguato.