Questa sera, mio ultimo appuntamento alla rassegna di quest'anno sul cinema israeliano. Colgo l'occasione per ringraziarne i curatori; sia quest'anno, sia quello precedente, le pellicole sono state di buon livello, per il sottoscritto;compresi i documentari che, quale più quale meno, hanno sempre offerto il là a spunti e riflessioni interessanti e doverose. Scrivevo, l'ultimo incontro è stato con la signora Miriam Weissenstein, tenace classe 1915 che non abbandonerà mai il suo posto: "Lo studio fotografico" ("Life in stills"), è un documentario scritto e diretto da Tamar Tal.
"The Photo House", a Tel Aviv, è il luogo in cui Miriam ha passato gli ultimi 70 anni, prima col marito Rudy (scomparso nel 1992), poi col nipote Ben e, ovviamente, il team dello studio.
E' un luogo fantastico in cui sono annidate un milione di foto, storiche (il giorno dell'Indipendenza, il marito era lì), familiari, quotidiane ("Piccoli venditori di ghiaccio"), urbane e paesaggistiche (Tel Aviv che prende forma)...
Quel negozio lo vogliono tirare giù per far posto al nuovo. "Il ragazzo della via Gluck" insomma, niente di nuovo o stravagante. Anzi, no di stravagante c'è il carattere e lo spirito di quest'anziana che, se da una parte, rispetta il classico schema senile "Odio tutti", dall'altra, mostra una capacità di trattare coi giovani (col nipote che, diavolo, ho già visto da qualche parte! Forse quel volto è presente in ogni città, paese, compagnia...un tipo sveglio, comunque) e adattarsi a qualsiasi intemperie. Tosta la nonnetta, vedrete, e il documentario esegue il prezioso compito di ricordarne (chissà se è ancora) per la sua ironia e caparbietà; da parte nostra, dobbiamo farlo senza accontentarci di ridere in coro nel sentire che "Come se la mia minestra fosse un granché", Miriam merita di più...W il pubblico dell'"Oberdan"! (o del cinema israeliano, eternamente impaurito e sognante?); bensì scrutando attentamente uno degli approcci possibili alla vita.
(depa)
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