Kim Ki-duk anomalo ieri sera, in sala Uander. O forse no...vediamo un po'. Il regista sudcoreano, un anno dopo il truce ragazzo cattivo, tirò un altro pugno, anzi, lanciò una granata vera e propria su un'altra zona d'ombra di ogni società. BOOM contro il militarismo: "La guardia costiera", nel 2002, fece a brandelli le membra dei soldati di tutti i gradi, ciechi pazzi pupazzi.
Questa volta, il forte sentimento antimilitarista dell'autore, lo spinge a raccontare piuttosto che creare, ad esprimere il proprio messaggio più che la propria arte. Volendo usare cassettiere con pochi scomparti, certamente. Perché l'arte è veicolo di messaggio, of course. Ma pare proprio che l'autore, tenendo in particolar modo al tema trattato, abbia deposto i versi, imperniando la pellicola di una narrazione realistica, senza fronzoli, evidentemente per non rischiare che il grido di denuncia passasse in sordina.
Anche se non mancano dolci paragrafi (come quasi tutte le sequenze con la ragazza in preda alla follia: i "baci rivelatori" e la successiva rincorsa in acqua) in mezzo a pagine cosparse di violenza, angoscia e follia, ciò che di questa pellicola rimane negli occhi e, soprattutto, nel sistema nervoso, sono quella base militare (coi suoi stupidi abitanti) e il battito cardiaco indotto nello spettatore (elevato durante tutta la durata); perché è un cinema forte, che picchia testa e stomaco, obbligando noi tutti ad assumerci le nostre responsabilità.
La scena finale mostra come il mondo militare sia intrinsecamente contro l'individuo; quanto pesa una vita, un corpo, è stato dimenticato, si è insegnato a dimenticarlo, nei giorni di battaglia, nei secoli di guerra. Un morto è come un altro; tutte pedine senz'anima. Kim Ki-duk, in un'ora e mezza, tocca tutte le viscere, strizza le coscienze (i soldati colorati in faccia, infettati dal terrore, fa terra bruciata attorno all'ipocrisia di chi utilizza termini come difesa e pace, intendendo MORTE.
No, il soldato Kang non è un pericolo per la società; lo è la Società stessa.
(depa)
Effettivamente, alla fine del film, ho pensato che fosse il Kim Ki-duk che mi era piaciuto meno, ma forse hai ragione tu: il tema è talmente forte e il regista ci teneva talmente che la denuncia arrivasse bella chiara, tanto che ha lasciato da parte la sua poesia, seppur non mancano le solite riprese/immagini d’autore col suo marchio di fabbrica, ormai per noi, inconfondibile.
RispondiEliminaLa denuncia al mondo militare e alla guerra passa per una (ennesima) denuncia alla sua Corea del Sud, uno stato che ha un “muro di Berlino” d’acqua che lo divide dalla Corea del Nord!?! E se qualcuno non identificato si avvicina… Incredibile… Che rabbia…