Bene. Serata tranquilla in sala Uander. Il primo giorno di primavera si trasforma in un senza tempo senza luogo assordante. "Il martello di carne" ("Tetsuo II"), del 1992, è il secondo episodio del regista nipponico Shinya Tsukamoto, a distanza di tre anni dal primo. Quasi ugualmente delirante.
Non più bianco e nero. Non più lo stesso Tsukamoto alla fotografia. E forse qualcosa si vede. Nonostante la partenza ipnotica, alla lunga si rivela meno allucinante. "Tetsuo" era più casereccio, questo più costruito. Del primo episodio manca l'asfissiante componente erotica, ma sono rimaste rabbia e desiderio di vendetta. In "Tetsuo II", a creare il delirio è anche il terrore di fronte ad un qualcosa più forte di noi, che pare indistruttibile.
Il colore permette il fuoco e il corpo nero. Metallo (sempre presente), fiamme e muscoli.
Tsukamoto prosegue col suo cinema onomatopeico, fatto di reazioni; terzo lungometraggio che mostra quanto si prenda sul serio.
Si è perso un po' in genuinità (come nella scena dell'inseguimento in bicicletta, parentesi "commerciale" un po' stonata) ma è comunque interessante vedere le due facce del regista, in termini positivi, poiché entrambe coinvolgenti (la prima più originale, la seconda più tendente al Cronenberg).
Interessante questo salto, a distanza di pochi giorni, tra Griffith e Tsukamoto, nord e sud, agli estremi; o forse no; forse è un cerchio, che tenta da anni (e sempre lo farà) di chiudersi, ma i gradi in quel 359 sono infiniti; il cinema, che ha linfa vitale eterna, rincorre se stesso, si raggiunge e si saluta (si supera?)... Ehm, ma che ho detto?
(depa)
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