La legge è contro per tutti

Altro giro, altro Orson Welles. Il regista che venne dal Wisconsin, nel 1962, portò sullo schermo, rielaborandola, la celebre opera letteraria di Franz Kafka, volteggio frustrante ed imbarazzante nel teatrone del mondo legislativo: "Il processo" è un vertiginoso percorso nella follia in cui si può precipitare entrando nelle sabbie mobili della legge, senza colpa: hanno armi a sufficienza ed munizioni infinite, tante quante le sentenze da emettere.
Giostra di losche figure inventate dall'uomo, valzer schizofrenico in mezzo agli accusati, esercito un po' vittima e un po' complice, parcheggiato lì in sala d'attesa. Anelano la sentenza ma forse no. Sotto sotto è bello poter dire "Il mio avvocato" (un po' come "il mio commercialista", "Non se ne può più...ho il mutuo!" e tante altre passioni tutte umane). Quindi in fila per l'iscrizione al gioco, per avere un portone davanti al quale dormire per tutta l'esistenza. Fa' niente che non ci facciano entrare e che stiano aspettando, da sempre, proprio noi. L'allucinazione divulgata da chi dice che si può giudicare e, caso strano, che proprio lui può farlo, rincoglionisce come le droghe più pesanti.
Bianco e nero che avvolge, affascina e poi sballotta lo spettatore, linee geometriche che atterriscono, spazi enormi che annullano, anguste stanze sovraffollate che soffocano lo spettatore, con ritmo crescente sino all'esasperazione finale. Non avrete mica pensato di poter farcela?
Il film è tosto. In questi casi lo definisco così. Fortemente intellettuale, richiede la costante partecipazione da parte del pubblico. Distrarsi è quasi un perdere il treno. In realtà, a mo' di giostra, si può balzare su e godersi l'ultimo universo creato dal regista, dall'autore ovviamente e degli attori. Ho letto con stupore di qualche critica indirizzata, ai tempi, a quest'ultimi; li ho trovati tutti all'altezza, compreso il protagonista (newyorkese smilzo Anthony Perkins, l'albergatore di Psycho). La valenza artistica (espressionismo nitido, lucido) è lampante, ogni sequenza una potente esplosione cinematografica, tutto inteso e costruito alla perfezione in quest'affascinante viaggio di Joseph K. nel baraccone di Leggeland.
Non è difficile perdersi; d'altronde lo smarrimento, l'essere in balìa di assurde strutture, per di più volute, è alla base di quest'opera che restituisce, impreziosita, la fatica provata inizialmente.
Da vedere, riposati e concentrati.
(depa)

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