Questa sera, allo Spazio Oberdan, super giallo thriller, filmone confezionato da Orson Welles nel 1946: "Lo straniero" è un gioiello con carati di ritmo e fascino, due aspetti amalgamati alla perfezione, marchio di fabbrica del grande regista.
Il terzo film di Welles dev'essere visto prima possibile, di corsa (così come scorre questa incalzante classica sfida guardia-ladro). Perché è con cartine tornasole di questa qualità che si possono riconoscere quelle degli altri (se ve ne sono).
Il risultato è strabiliante poiché, ad una rapidità narrativa notevole, s'affianca un'attenzione alla tecnica registica di prim'ordine. E' come guardare un ballerino che scende giù da un burrone, senza rotolare maldestramente, bensì, senza punto perdere velocità, governando gambe e braccia in eleganti movenze, senza perdere in tensione emotiva (non che l'autore possa inciampare rovinosamente, ma non è escluso che decida di balzare nel vuoto).
Il ritmo è scandito da un metronomo preciso, la m.p.d. gli va appresso rapida, senza perciò abbozzare. La sequenza iniziale lo dice subito, il "primo" straniero è uscito di prigione e le strepitose dissolvenze incrociate permettono di seguirlo con velocità ed eleganza (la donna che sale le rampe, fasci di luce che s'accavallano dolcemente).
Orson Welles, così come in "Citizen Kane" (di cinque anni prima), dirige ed interpreta alla grande. Se vi piacciono gli Hitchcock, "Lo straniero" di Welles diverrà un vostro pallino; gli elementi stilistici sono diversi (Welles è più "barocco", il britannico più "geometrico"), ma ritmo, suspense ed ironia sono elementi comuni (il bar-merceria self-service, col suo proprietario "ciattellone", è uno spettacolo).
Ma non basta, quando lo spettatore si sta godendo i febbricitanti attimi allestiti da autori ed interpreti (il prof Rankin che ricopre il corpo di foglie e sparpaglia i fogli di carta; l'ultima partita a dama e, in contemporanea, il "malore" della governante...), vengono a dar manforte anche aspetti di ricercata psicologia (quando il marito capirà che la moglie non gli crede, allora...); tutto quadra, tutto è un quadro; molteplici le meraviglie regalateci dalla m.d.p.: inquadrature varie nel campanile, dissolvenze, giochi di luce (la sega), montaggio atletico (in particolare sul finire).
Il grandioso finale è di chi osa senza paura, conscio dei propri mezzi, anzi di sé; poiché in Welles, più che in altri, il cinema pare il normale prolungamento dei propri arti, del proprio pensiero.
(depa)
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