Ieri pomeriggio, nella sala di Santa Brigida, c'è stata la proiezione del film "La promessa", girato nel 1996 dai Fratelli Dardenne, allora quasi esordienti per il grande schermo non documentaristico. In questa pellicola si riconoscono bene sia i temi e sia gli stili cari ai due registi belgi.
Siamo due in sala, io e Marigrade. Lei lo vide in una rassegna al Cineclub Lumière di Genova susseguita alla Palma d'Oro che gli autori vinsero, nel 1999, con "Rosetta". Ma i Dardenne li si guarderebbe all'infinito, quindi la padrona della sala mi tiene compagnia senza esitazione. Inizia la pellicola e un sorriso affettuoso ci sfugge ad entrambi. Eccolo lì, ragazzino dallo sguardo sognante e imbarazzato, Jérémie Rénier. L'attore feticcio dei Fratello belgi (mio coetaneo), colui che, nei bellissimi film che verranno, interpreterà ragazzi senza meta e padri assenti, adesso è uno sbarbatello che fuma "siga" e schizza su "paperi" per sembrare un duro, essere già completo. L'attore, mio coetaneo, forse ancor più del solito è strepitoso nel restituire al pubblico lo spensierato imbarazzo che sempre accompagna un giovane adolescente alle prese coi grandi.
Il cinema dei Dardenne è sempre lo stesso, quello dei falsi tentativi, dei bugiardi gesti che puliscono la coscienza e aumentano il gruzzolo di qualche spicciolo. Il loro mondo è quello dei recinti di lamiera e legno, a delimitare pollai improvvisati in qualche cantiere edìle; quello delle facce di merda che, per definizione, possono sopravvivere solo a danno di deboli che diventano sfruttati; quello in cui "se è gratis, è sporca".
C'è un filo di speranza nei film dei due autori, ma è sfibrato, meglio non azzardare alcuna tensione.
Lo stile crudo, duro, senza fronzoli, nel 1996 aveva addirittura un qualcosa di più, anche se la macchina da presa non inseguiva i volti, come accadrà già tre anni dopo con il già citato "Rosetta", con l'originalità e la maturità che conosciamo (effetto claustrofobico che pressava maggiormente sul pubblico). Verso la fine della pellicola, oltre ad una bella ripresa con treno sullo sfondo che va al passo coi protagonisti, ritroviamo lo stesso abbraccio disperato che verrà riproposto nel recente "Il ragazzo con la bicicletta", mentre la forte e angosciante sequenza in cui il padre (Olivier Gourmet) viene incatenato rappresenta un elemento di spettacolarizzazione apprezzabile e nuovo (o quasi) per i due registi.
Se potete guardatelo in originale coi sottotitoli.
(depa)
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