Ueila! Che "chicche" che spuntano ogni tanto allo Spazio Oberdan. Due giorni fa, io ed Elena abbiamo fatto la conoscenza di un regista francese classe 1928, un po' defilato anche in patria, alle spalle del più celebre Jacques Tati, di cui fu apprendista. Pierre Étaix è un autore principalmente comico, quindi, ma con quella sensibilità a forma di lacrima che può avere solo chi ha fatto gavetta nei cabaret e, soprattutto, nei circhi. "Yoyo" è una sua affascinante e stravagante opera del 1964.
Questa originale pellicola mostra l'attenzione riversata nella sua realizzazione sin dai titoli di testa. Stupendi giochi di linee, figure e suono. In particolare l'utilizzo creativo del suono sarà la peculiarità principale che accompagnerà tutta la durata del film.
La prima parte del film in versione muto, con divertenti e azzeccate "intrusioni" sonore (effetti come quello ossessivo del cigolio di una porta o il verso sommesso di un cane, tutte scelte azzeccate), ci presenta alla perfezione al mondo che Étaix aveva ideato. Figlio del cinema di Keaton e degli altri grandi del muto, oltre alle componenti ironica e poetica che trovano terreno fertile nel cinema stilizzato del muto in bianco e nero, condisce però la sua opera con alcuni ingredienti del tutto personali, come un surrealismo (al servizio dell'inventiva e viceversa) e, soprattutto, una tensione ad un linguaggio cinematografico nuovo, in cui suono e movimenti stuzzicassero o accarezzassero, a seconda del momento, la fantasia dello spettatore.
Come ogni muto ben riuscito, tutte le reazioni suscitate, frutto di dettagli studiati. C'è il momento per ridere, ovviamente, quello per rilassarsi (il balletto è stupendo, applauso a tutte le ragazze), per eccitarsi (la sequenza della mano che slaccia le scarpe, carica di sano erotismo), per sognare (il circo in cortile, il viaggio sul caravan d'epoca), per pensare (la crisi del 29 sintetizzate in poche riuscite immagini, come le ciminiere che risucchiano i propri fumi; la sequenza della platea del teatro che "cambia espressione" è la stessa che verrà ripresa in altri film...), per la tenerezza (lo splendido rapporto tra Yoyo e il padre) e per la malinconia (formidabile il tendone del circo che s'affloscia). Poi c'è di più! Vi dovrei raccontare tutto il film, il suo sapore dolce amaro, l'approccio alla vita sereno e tenace di chi non capisce proprio perché arrendersi, come quello di Yoyo di fronte al progetto di ricostruire il palazzo di famiglia. Ed un qualcosa ch'è difficile da esprimere, un voglia di realtà altra, più sincera e aderente ai valori genuini, lontano da riflettori che, alla lunga, non possono che accecare.
Che dire di Pierre Étaix, se i risultati dei suoi esperimenti furono questi, sì, "l'ebanista" doveva divertirsi a "fare ciò che voleva". Davvero notevole.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento