Che fortuna Coglionello!

Ed invece l'altroieri sera filmone della madonna incoroneta di Molfetta in Sala Valéry. La Ele chiede qualcosa di leggero e allora beccati sto "La dottoressa ci sta col colonnello", cult-movie della commedia erotica nostrana. Diretto nel 1980 da Michele Massimo Tarantini, classe 1942, istituzione in questo genere di pellicola, fece saltare i tappi ormonali ad adolescenti imberbi ed irsuti d'ogni età, non certo per le calze di Lino Banfi, né per lo sguardo di Alvaro Vitali, bensì grazie a Nadia Cassini, l'avvenente peperina, classe 1949, che venne da Woodstock portando con sé il proprio...fondoschiena, oggettivamente ammirevole chef-d'oeuvre.

E domatela!

Sabato scorso vi siamo riusciti. Il DVD recuperato già da mo', come si dice: mancavano tempo e voglia. Soprattutto tempo, poiché "Magnolia", scritto e diretto da Paul Thomas Anderson nel 1999, dura più di tre ore; la voglia di (ri)vedere forse il più acclamato film del regista californiano, qui al suo terzo lavoro, non mancava punto. Virtuoso della m.d.p. e della sceneggiatura, forse qui dimenticò che certe altezze debbano comunque posare su basi, in questo caso psicologiche, solide e profonde. Altrimenti il castello cade.

I papaveri della memoria


La settimana scorsa, lo stesso giorno in cui Gaetano faceva capolino da qualche parte a Cirié (13 agosto 2018), solitario in sala Valéry mi sono imbattuto in un prezioso frammento di cinema georgiano. Con la sola condizione che fosse un film straniero precedente al 1990, la mia ricerca mi ha difatti condotto presto alla voce Abuladze Tengiz (1924-1994) ed al suo "L'albero dei desideri" (1977). Sullo schermo i poetici "Quadretti di vita della  campagna georgiana prima della rivoluzione, tratti dai racconti di Gheorghij Leonidze", vividi scorci di uomini donne bambini evocati con forza e delicatezza dall'epoca del ricordo, sino a renderli eterni personaggi di ogni dove.

Corpodesiderio

Caldo micidiale, i lunedì-venerdì in ufficio, vien quasi voglia di una remota isola deserta, possibilmente circondata da spiagge caraibiche, tra palme e pesci padroni. Quindi l'offerta del canale 8 è stata colta al volo, da Elena e me. La sala Valéry, ieri sera, s'è trasferita nella "Laguna blu" dove il desiderio si può vedere e toccare. Diretto dallo statunitense Randal Kleiser, appena fresco del musical più celebre e travolgente, questa terza trasposizione degli incontaminati lidi della passione raccontati dall'irlandese Henry De Vere Stacpoole nell'omonimo romanzo del 1908. Inizia come film per ragazzi, tra le prime giocose avventure nella natura, per poi condurre gli stessi, idealmente, tra le acque del loro intimo piacere. Asso piglia tutto, la bellezza perfetta e pura della protagonista, la newyorkese Brooke Shields, allora quindicenne mozzafiato.

Su, avvicìnati...

Quindici mesi dopo la sua scomparsa, Il Cinerofum ha rivolto un secondo ricordo al regista statunitense Jonathan Demme. La sala Valéry ha cosparso Elena e me del manto truculento di un assassino seriale. Anzi, DEL Serial Killer, trattandosi niente meno che di Hannibal Lecter, alias "The cannibal". Pluripremiato e tra i più citati di sempre, "Il silenzio degli innocenti" (1991) è una perfetta macchina cinematografica (da soldi ma non solo): sceneggiatura, ritmo, non ultimo la disinvolta quanto efficace regia del suddetto autore, capace di alcune memorabili sequenze d'impatto immediato e che balzò così, un po' a sorpresa, tra i registi che contarono.

Eravamo tanto, appunto

Venerdì scorso, ancora Ettore Scola. Ci abbiamo provato, come al solito. Ma all'ingresso del cortile della Maddalena, per "C'eravamo tanto amati", forse la pellicola più celebre del regista di Trevico, realizzata del 1974, quando la maschera di una repubblica "democratica", fondata sul lavoro e antifascista era già coperta dalla polvere, con Elena e me non c'era nessuna faccia nota. Peccato, ché queste commedie italiane, firmate tra gli altri dai "mostri" Age & Scarpelli, avrebbero ancora molto da far sorridere e...riflettere.

Vuoto in terrazzo

Ai ragazzi dell'"Altrove", trattandosi di Cinema, perdoniamo tutto. Perciò anche venerdì scorso, Elena ed io, ci siamo incamminati verso il piccolo chiostro della Maddalena, accettando giorno ed orario. O forse l'abbiamo fatto solo per questa gente: Alessandro Gassman (olé!), Marcello Mastroianni (olé!), Serge Reggiani (olé!), Ugo Tognazzi, Jean-Louis Trintignant (olé!)...? Questo squadrone, da cori ed ola sugli spalti, fu messo in campo nel 1980 da Ettore Scola: "La terrazza" è il solito impietoso scorcio sulla bellezza in costante putrefazione dei salotti della borghesia cittadina, nonché sui rimpianti di ciascuno, sempre presenti poiché nessuno libero.

Cuore d'oca

La sala Valéry è tornata arrembante e mercoledì scorso, scartabellando, s'è imbattuta in John Schlesinger, il regista londinese già conosciuto per le sue nefaste domeniche. Il suo lavoro successivo, del 1975, fu "Il giorno della locusta", tratto dall'omonimo romanzo di Nathanael West (1903-1940). E' la storia di un amore ai tempi della Hollywood in picchiata, di rapporti personali incancreniti, in balia dello show-business tutt'intorno. Non ne può uscire nulla di buono...a prescindere dall'"acume"  e dal fulgore della parte femminile.

Chi ti crede?

La sala Valéry è ufficialmente finita...nel tunnel...anzi, nel tubo. Molti film a disposizione, immediata connessione tra dispositivi (per chi ne ha): non resta che scegliere. Lunedì scorso, per far fronte al "tradimento" dei ragazzi dell'"Altrove" (venerdì?!), Elena ed io siamo ricorsi ad un nostro toccasana: Sir. Alfred Hitchcock. Pellicola del periodo inglese (1938), "Il club dei 39" (anche come "I 39 scalini") mostra un regista spigliato col mezzo cinematografico ed ormai padrone del ritmo, qui alle prese con una spy (and love) story che intrattiene con fughe rocambolesche e audaci allusioni.

Colpa e punizione

Parliamo un po' dell'ultimo film uscito nelle sale italiane del regista greco Yorgos Lanthimos, già noto qui per la precedente aragosta. "Il sacrificio del cervo sacro", del 2017, è un thriller psicologico dall'impostazione classica, che non richiede nessuna indagine o cartella clinica, seppur quasi interamente ambientato in ospedali, semmai poggia sui primordiali principi di colpa ed espiazione. Rimorso e paura. Temi attorno ai quali, abbandonati in ambienti asettici assieme ai protagonisti, ruota uno sguardo sbigottito, echeggia una musica di morte.

Giàmmorti

La premiata ditta, autogestita, non a scopo di lucro e dedita al degrado, "Fr.D." propone? Il Cinerofum "porta a casa". "Essi vivono", graffiante satira diretta da John Carpenter nel 1988 e tratta da "Alle otto del mattino" dello scrittore statunitense Ray Nelson, quasi per caso permette di ribadire che qualcuno sta dormendo, mentre altri stanno spendendo tutte le proprie forze per sfruttare quel qualcuno come fonte di profitto, sino ad ammazzarlo, e, conditio sine qua qua, far sì che continui a dormire. Dire che "They Live" non è mai stato così attuale, non è esatto: lo sarà sempre più.

Uniti da un grido

Prima di parlarvi di quegli occhiali senza i quali i malanni della società proprio non sarebbero evidenti, debbo scrivere del dolore individuale, e di coppia, esploso ieri sera in Sala Valéry (sì, è ancora aperta). Si parte da una filastrocca che, più che i volteggi giovanili d'una volta, ricorda gli isterici rimpianti di oggi: "Chi ha paura di Virginia Woolf?", del 1966, è la trasposizione dello statunitense Mike Nichols (1931-2014) del soggetto teatrale omonimo scritto nel 1962 dal connazionale Edward Albee (1928-2016). Lungo un crudele percorso di spoliazione delle proprie vesti e maschere, addossatesi nell'inerzia dei giorni, si giunge infine al benefico sgomento di sé.

L'unione fa la morsa

Venerdì scorso Il Cinerofum ha aggiunto un tassello al proprio mosaico delle sale cinematografiche. Niente multisale, come sapete. Bensì i piccoli cineclub sparsi sul territorio, invisibili ai più, punti fermi di cinefili e anziani smarriti. Quindi benvenuto, o bentornato, "Fritz Lang". Viceversa, benarrivato pure al Cinerofum presso di te, lassù, dove via Acquarone si dà una calmata in vista del sagrato della San Paolo (dietro al quale morrà). E grazie per aver permesso ad Elena e me di recuperare l'ultimo lavoro di Robert Guédiguian, "La casa sul mare", cui tenevamo sia per la fiducia nel regista, sia per quella riposta nei giudizi di Marigrade. Ripagata la mia, Elena è uscita un po' annoiata, come il gestore del cinema ("po' fiacchetto..."). Eppure la carne è sostanziosa, sanguigna, bella rossa...

Paranoia al collo

Lunedì scorso, alla sera: "Altrove". A chiudere la mini-rassegna dedicata a Carl Theodor Dreyer, gli altri tre in programmazione già visti e recensiti, è in programma "Vampyr" del 1932. "Basato su 'Camilla' di Sheridan Le Fanu, è il primo film sonoro del regista danese, col quale questi sperò di smarcarsi dall'etichetta di regista del sacro". Tutte informazioni reperibili sul prezioso Wiki e prontamente ripetute dalla curatrice nel pre-visione. Ciò che non è stato anticipato, invece, è l'aspetto innovativo di questa pellicola, grazie alla scalpitante energia riverberata dall'allora quarantacinquenne Dreyer.

Scrivere di un velo

Il sabato appena trascorso è stato all'insegna del boh. Ottimo così. La sera mi ha condotto al "Corallo" dove, in programmazione, c'era l'ultimo lavoro di Laurent Cantet, quello della classe... Il regista francese classe 1961 ritorna proprio al formato con cui, dieci anni fa, vinse la Palma d'Oro, realizzandone una sorta di proseguimento anagrafico, accademico. In "L'atelier", il discorso si alza col tema della scrittura, per poi ritrovarsi sulle piste di decollo da cui parte ogni coscienza sociale. O dovrebbe: in effetti molto più facile vedere nell'Altro il primo nemico, la causa d'ogni male, piuttosto che ammettere le proprie deficienze e responsabilità (collusioni) con un sistema che, oltre ogni falsità, si basa su sfruttamento e violenza. Alto coefficiente di difficoltà, visti argomento e modalità, ma Cantet ne è uscito incolume, anzi, in grado di offrire spunti preziosi. Complimenti.

"E tu non pensare"

Ieri è uscito nelle sale un film italiano di due giovani registi, fratelli romani, sconosciuti. Sino a ieri appunto. Italoallergico, lo sapete, ma ormai vaccinato: cineasti ignoti, due ragazzi interpretati da altrettali attori sulla locandina, mi fido senza remore. Sino a coinvolgere pure il prof. Sini. Non so se "La terra dell'abbastanza", scritto e diretto dai gemelli classe 1988, Damiano e Fabio D'innocenzo, sia il bocciolo di una rigogliosa filmografia, ma so che può essere iscritto tra i rari e preziosi esordi dalle fulgide promesse.

L'azzardo è bastardo

L'altroieri sera (è sempre l'altroierisera), di nuovo in Sala Valéry, Elena ed io a conoscere, o riconoscere, il regista inglese Guy Ritchie. Nato nel 1968, questo ragazzo senza diploma arriverà ad esordire dietro la camera, nemmeno ventenne, con un film di cui si parla ancora (nonché, subito dopo, a sposare quella là, come si chiama? Ah sì, Madonna): "Lock & Stock" (sottotitolo italiano "Pazzi scatenati", t.o. "Lock, Stock and Two Smoking Barrels"), del 1998, è una crime (& drug) story a ritmo di rock. Vent'anni dopo un po' d'effetto è sceso, però che botta a quella visione...

Coppia di fatto

L'altroieri sera è tornata Valèry! Sì, la Sala. L'occasione è stata un rendez-vous con François Truffaut imbastito dalla Cry...l'altra Pollinz...vabbè, un ringraziamento a lei. "Non drammatizziamo...è solo questione di corna" (t.o. "Domicile conjugal", scritto e diretto dal regista parigino nel 1970, non è una commedia sexy italiana, bensì il quarto appuntamento con la saga rosa di Antoine Doinel, il piccolo Léaud ormai cresciuto da quei primi lontani colpi: capitolo leggero ed ironico, affettuoso verso i propri personaggi quanto lo fu Truffaut.

Piccola ascia, sei scheggiata

Una settimana fa, mercoledì di cinema, Elena ed io ancora nelle sale. Si aggira dinanzi alle poltroncine rosse l'ultimo film del romano Matteo Garrone, la fiducia in lui accumulata mi permette di affrontarlo senza paure. "Dogman", presentato allo scorso Festival di Cannes ottenendo applausi ed una Migliore Interpretazione Maschile per l'immenso intenso Marcello Fonte, ci ha lasciati infatti col dolce gusto del bel cinema sporco, quello che picchia duro echeggiando note soavi da botte, sangue e croste. Scenografia eterna d'ogni dimenticata e nascosta periferia.

Aspettando Cowboy

La settimana scorsa, da parte dei ragazzi dell'"Altrove", altra proposta stupefacente. Grazie anche all'interessamento della casa di distribuzione "Reading Blooms", tutta italiana e dedita alle chicche indipendenti, sia Elena sia io abbiamo potuto iniettarci questo "The connection" (in italiano "Il contatto"). Trattasi di trasposizione cinematografica della newyorkese Shirley Clarke (1919-1997), realizzata nel 1961, di un'opera del drammaturgo connazionale Jack Gelber (1932-2003), messa in scena due anni prima da "The Living Theatre". Visto con gli occhi di oggi, questa pellicola dirty e sfrontata, senza perdere in fascino, magari mostra qualche ruga, ma provare ad immaginarsi nelle sale dove la pellicola uscì (poche suppongo), fa venire i sudori freddi...