E domatela!

Sabato scorso vi siamo riusciti. Il DVD recuperato già da mo', come si dice: mancavano solo tempo e voglia. Tempo più che altro, poiché "Magnolia", scritto e diretto da Thomas Anderson nel 1999, dura più di tre ore, e perché la voglia di (ri)vedere forse il più acclamato film del regista californiano, qui al suo terzo lavoro, non mancava punto. Virtuoso della m.d.p. e della sceneggiatura, forse qui dimenticò che certe altezze debbano comunque posare su basi, in questo caso psicologiche, solide e profonde. Altrimenti il castello cade.

Dopo l'introduzione pop-accattivante, ecco la volteggiante impostazione altmaniana sul brulicare di questi piccoli e meschini esemplari di razza umana. Ritmo elevatissimo durante la disposizione delle carte, in formazione esatta per coincidenze e casualità al limite del credibile, corsa vorticosa che invero Anderson tiene senza incertezza. Forza centrifuga che restituisce la variegata mescolanza di dolori, di (conseguenti) odi e rancori; in pratica tutta la menzogna su cui si basa la società. Sulle maschere che noi stessi ci affibbiamo.
Tutto promettente. Se non fosse che il regista di Los Angeles, sul finire, si abbassa da sé: è per questo che Tom "Frank Mackey" Cruise è così, per il troppo dolore! Per quei casini familiari! Come se non bastasse uno sconsolato "Questi rimpianti" pronunciato sul letto di morte...). Poca roba per un film che, come uno qualsiasi diretto da uno dei più grandi maestri del cinema hollywoodiano, cui questo film si rifà esplicitamente, avrebbe voluto cogliere gli intimi sconforti di un'intera società (qui americana). C'è ben di più di un rimorso ad attanagliare i nostri giorni. Il vuoto bracca pensieri e gesti anche di chi è nato nella bambagia (vedi Antonioni).
Col passare della tempesta, le ultime nuvole sono cupe e tragiche e pure la sceneggiatura, alfine, si rivela piuttosto mediocre, con eccessiva ricerca d'improbabili incastri e colpi d'effetto (di cui la pioggia di rane è, tutto sommato, il meno fastidioso).
Film ambizioso che sul lungo non regge e che, dopo aver indicato il Perdono come panacea, quando è proprio questo la causa delle nostre inadeguatezze, si conclude pure con un reato atroce: apologia di sbirro e buon cittadino. Pessimo finale sulla rossa ferita e guarita (incluso quel cazzo di pezzo musicale), con Elena e me a guardarci delusi.
"Rispettate il cazzo!", appunto.
(depa)

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