Il sabato appena trascorso è stato all'insegna del boh. Ottimo così. La sera mi ha condotto al "Corallo" dove, in programmazione, c'era l'ultimo lavoro di Laurent Cantet, quello della classe... Il regista francese classe 1961 ritorna proprio al formato con cui, dieci anni fa, vinse la Palma d'Oro, realizzandone una sorta di proseguimento anagrafico, accademico. In "L'atelier", il discorso si alza col tema della scrittura, per poi ritrovarsi sulle piste di decollo da cui parte ogni coscienza sociale. O dovrebbe: in effetti molto più facile vedere nell'Altro il primo nemico, la causa d'ogni male, piuttosto che ammettere le proprie deficienze e responsabilità (collusioni) con un sistema che, oltre ogni falsità, si basa su sfruttamento e violenza. Alto coefficiente di difficoltà, visti argomento e modalità, ma Cantet ne è uscito incolume, anzi, in grado di offrire spunti preziosi. Complimenti.
Finalmente iniziamo con una novità. Cantet si presenta al pubblico più giovane con una dichiarazione, se non d'amore, almeno di complicità. Guardate la sequenza introduttiva. Incipit digitale da bocca aperta, apprezzabile incursione nell'universo virtuale dei videogiochi, ad oggi giunto ad una veste grafica straordinaria, ma in fondo da sempre all'altezza dei viaggi della mente di ragazzi non abbronzati. Merito a chi, in barba a matusa e parrucconi, non ha mai abbandonato l'arte videoludica. Sequenza così suggestiva, con l'eroe solitario a minacciare con urla silenziose e dardi maledetti qualunque Sole che abbia l'ardire di credersi irraggiungibile, scena così riuscita da essere ripresa, sul terminare del film, "al reale". Da sola potrebbe bastare gli 8€ del biglietto "festivo".
Ovviamente c'è dell'altro. Un gruppo di studio ragazzi, con tutte le loro smorfie (stilose!), espressioni (fighe!) e ipocrisie (tun), seguito da una scrittrice con ruolo di docente che va al di là della sua specifica arte, è un canovaccio rischioso, come detto. Ma gli autori sono stati attenti a non mettere in bocca all'affascinante insegnante (Marina Foïs, classe 1970 bella e brava) parole inutili.
Cantet muove la m.d.p. con grande eleganza ed efficacia, mostrando una spigliata sensibilità nel cogliere e costruire le immagini (oltre quelle tratte dal videogame, vi sono anche fugaci ma suggestivi filmati d'epoca, ottimamente incastonati).
L'intelligenza dell'autore si risconta, oltre nei dialoghi ben calibrati, anche nella scelta di non voler a tutti i costi chiudere con un colpi di scena: il cosiddetto "strafare" che tanti ultimi film, molti dei quali dei suoi connazionali, ha immancabilmente gettato alle ortiche.
(depa)
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