A chiudere il nostro quarto giorno di TriesteFF c'ha pensato Vladimir Perišić, belgradese classe 1976, partecipante al concorso lungometraggi con "Lost Country". Il regista serbo riavvolge la pellicola del proprio tempo per raccontare un'adolescenza balcanizzata, tra rivolte in strada e reazione in casa. Una madre disonesta ricade sui figli. Non fraintendete: l'aria è di faticosa ma accorata assoluzione, per quei minuscoli genitori travolti dalla Storia.
Il regista dirige il suo secondo film dopo 13 anni: "La rabbia è scemata, questo è un atto d'amore per la mia terra, la Jugoslavia". Come nel plakat del film, un abbraccio toccante, sincero. Con la fotografia perfetta che vogliono gli autori (Sarah Blum e Louise Botkay). 1996. Si rievoca la "Repubblica Socialista Federale Jugoslava", tra le memorie dei Šoštar olimpionici che furono. "Il fascismo è guerra, i partigiani opponevano resistenza". Questi i nonni. Altri tempi, ora si è filo occidentali: socialisti = poliziotti. Idee (raffazzonate) che hanno lasciato il segno, anche nei nomi delle madri Marklene.
Appassionante questa storia di ragazzi nel centro del ciclone, stritolati nel nodo cruciale e mortale della storia europea. Ahah! "Siamo tutti un po' socialisti!". "Come credere nella rivoluzione, se viene sempre tradita?". Bella domanda, forse la R. non è un risultato ma una tensione. Madre debole come ogni retorica vuota, fa la grinta ma ha paura, non solo della Neposlusnos (Disobbendienza). Cronista di potere, ha reso il figlio vittima della sua prospettiva: sguardo al di qua della barricata. Ancora oggi gli studenti dell'Est urlano "Europa! Europa!"...
Regia cristallina, consolidato dalle buone interpretazioni, tra cui svetta quella dell'esordiente, classe 2007, Jovan Ginić, premiato a Cannes e menzionato in Friuli "per essere riuscito a rendere la complessa personalità di un bambino lacerato dalle turbolenze politiche nella Jugoslavia degli anni Novanta”. Voto: 7.
(depa)
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