Civiltà della fine

Non c'era bisogno dell'avvilente programmazione delle sale italiane, per rivolgermi curioso verso il cinema del Bhutan. Bisogna rivolgersi al cinema non ancora supino alle logiche di mercato e per farlo, sinché c'è tempo, tocca raggiugere vette himalayane. Il regista indiano (Darljering), classe 1982, Pawo Choyning Dorji ha esordito mostrando un tocco delicato e sensibile, strettamente intonato ai canti di quei popoli di montagna, più ricchi di mille oligarchi (inglesi, francesi, spagnoli...). "Lunana" (s.i. "Il villaggio alla fine del mondo", romantici italiani, s.o. "Uno Yak in classe").
Sceneggiatura scontata, ma tale è l'irrespirabilità della civiltà, che è sufficiente per portarti a nuovi profumi, alfabeti, sguardi. Usanze legate ancora a doppio filo con la. Si avanza senza incappare in ingenuità, ma col passo fermo di uno sherpa che non conosce fretta. Spunti da non regolare con semplicità (cellulari, tutti ne parlano male...). Interpreti perfetti, dai magnifici bamibini agli attempati anziani.
Concludendo, nella crisi artistica, esistenziale e creativa, che affligge le avanzatissime civiltà occidentali, le uniche voci, grida o sussurri, giungono dai cinema remoti (rispetto a quelle). Parole esatte, che colpiscono nel segno in putrefazione. Dal Ciad, dal Bhutan, moniti destinati a scomparire come yak.
(depa)

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