Un Wong Kar-wai tira l'altro. Passeggiata in "Buenos Aires", toast e di nuovo in sala, questa volta molto affollata, allo Spazio Oberdan. "Ashes of time - Redux" è un altro affresco dai colori e dalle sequenze mozzafiato, poco conta il fatto che tra tutti questi occhi a mandorla e l'intreccio alquanto arzigogolato, io ed Elena, ci siamo chiesti alla fine cosa diavolo sia successo. A pensarci bene, questo: che il regista di Hong Kong può intrattenere anche solo con le immagini, incastonando in esse frammenti preziosi sul tormento che accompagna quel sentimento, difficile da seguire e accettare, che è l'amore.
Ripetitivo, lo so. Ma le strabilianti visioni, cesellate dall'autore cinquantacinquenne, mi colpiscono inesorabilmente, come fossi il pagliaccio seduto sotto il bersaglio, già spacciato: il deserto e l'acqua, accarezzati da un'ipersaturazione dei colori che mozza il fiato, sono in grado di innalzare lo spettatore ad altre realtà. Invero, in questa pellicola, la sublimazione dei sentimenti non arriva al completamento del processo, troppo ancorati, i sentimenti del cuore, a un racconto mélo a tratti difficile da digerire, anche per il suddetto groviglio nel canovaccio.
Ma il gioiello c'è; per scovarlo sarà sufficiente, come ormai ci ha insegnato l'autore, aprire pori e cornee a tutto ciò che scorre sullo schermo.
Il "Redux" del titolo riferisce al fatto che si tratti di una versione rivista, da parte del regista, di una sua pellicola di quattordici anni più vecchia, logorata dal tempo, distratto ma innocente, e dalla trascuratezza, questa sì colpevole, degli addetti ai lavori.
Se dovete scegliere tra due Wong, partite dall'altro, ma non rinunciate a questo intenso e allucinante viaggio per qualunque altro registucolo della Nostra.
(depa)
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