Il film, che vinse a Cannes il premio miglior regia (e non riesco ad immaginare altrimenti), mette in luce la capacità di Wong di fare con le immagini tutto ciò che vuole. Artigiano dei colori e delle luci, cucite a perfezione, come il miglior sarto della Settima, sui corpi dei protagonisti. Attori che ci mettono il loro, certo; i due principali di questa pellicola (ben noti in patria) sono in grado di non sfigurare, ponendo i propri corpi a prezioso supporto. Pennellate dalla grande valenza estetica, quindi, per raccontare ancora una volta un amore impossibile, iniziato su binari paralleli e terminata in sensi opposti.
Non c'è bisogno di concentrarsi troppo ma, se si vuole, ci si potrà perdere nelle scelte stilistiche del grande autore: l'inquadratura, dal retro dell'automobile, di uno dei due "angeli perduti" che aspetta in strada, ci consegna una prova infallibile della qualità di questo manufatto cinematografico; inoltre, osservando questa pellicola, avremo un'altra stanza indimenticabile da aggiungere nei nostri ricordi. Le sontuose immagini delle cascate argentine, offrono un altro spunto: nelle loro spettacolarità e forza, non appaiono come agghindati esercizi accademici, ma vivono, di un'energia in continuo movimento (ecco perché, il regista texano delle immagini digitali, sfodera un filmetto ogni morte di papa: perché passa le giornate a studiare, invano).
Sul finale si potrebbe parlare di un lieve stallo, se non fosse che con WKW i momenti nulli non esistono, basta staccare dalla spina un'area del nostro cervello rattrappito e lasciarsi guidare dall'altra, quella più sensibile allo spettacolo dinanzi agli occhi.
Poi viene la colonna sonora, altra potente e inserosabile freccia del genio di Hong-Kong; tutta da godere.
Se non "ti fa schifo il cinema..." ("...ma sei matto?!") lo devi apprezzare. Consigliato.
(depa)
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