Il quarto film presentato a Milano, nella rassegna dedicata al Torino Film Festival 2013, è un "giovane" film francese, la cui madre 35enne, Justine Triet, ha messo in mostra una buona disinvoltura dietro la m.d.p., soprattutto in una pellicola siffatta, che osa, che tira dritto, "andando lungo" solo di qualche metro. "La bataille de Solferino" v'intratterrà con sorrisi e qualche ruga riflessiva, attraverso un taglio stilistico dal carattere proprio.
Toh, chi si vede. Quel Vincent Macaigne, classe 1978, di cui ho già tessuto le lodi, per le abilità comiche mostrate nel primo film di questa rassegna torinese, rispunta sullo schermo, causandomi un ghigno di simpatia. Ci sarà da ridere, penso. E così sarà, infatti (il cane trascinato, la faccia del baby sitter oltraggiato...). In questa pellicola, la prova del giovane attore risulta ancora più convincente, meno affettata, della precedente.
Una sceneggiatura spumeggiante accompagna lo spettatore, senza risultare mai prevedibile, bensì acquisendo spessore man mano che tutti gli ingredienti vengono mescolati. Pubblico e privato, politica e palloncini, cazzi propri e pannolini. Elettorato internazionale da due soldi che lascia sgomento più che le turbe dei due protagonisti, a ben vedere. Molteplici sguardi, quindi, per un film che si arena soltanto nelle ultimissime battute, causando una brevissima insofferenza.
Ho scritto bene del protagonista, accattivante sin dalle prime battute, ma la sua controparte femminile, Laetitia Dosch, è un diesel che, col procedere dei minuti e dello stress, aumenta costantemente in potenza, contribuendo molto al grande rombo finale.
Insomma, è un film divertente, senza troppe pretese stilistiche, seppur curiose, cui tolgo mezzo voto solo per il meschino teatrino al ristorante cinese, una svista finale abbastanza grossolana (la sala Berlino del Colosseo è scoppiata in visibilio di fronte al fraintendimento, tutto eurasiatico, tra avocado e avvocato...). Ma sì dai, oggi ridiamo.
Voto: 6,5.
(depa)
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