L'occhio della vergogna e del perdono

La pioggia scrosciante del pomeriggio è continuata anche la sera, così ieri, io e Depa ci siamo messi comodi in sala Ninna e ci siamo gustati un’ottima opera della Settima. “Rapsodia in agosto” è una pellicola del 1991 diretta da Akira Kurosawa. Un film accattivante che, nonostante il clima scanzonato che regnava in sala, ci ha decisamente rapito.

La storia racconta di Kane, un’anziana hibakusha (sopravvissuta alla bomba atomica), che ha perso suo marito nell’attacco del 9 agosto 1945 a Nagasaki. Durante un'estate, mentre si prende cura dei suoi quattro nipoti, viene a sapere dell'esistenza di un suo fratello di cui aveva perso il ricordo, Suzujiro, che vive alle Hawaii e le chiede di andare a fargli visita prima che lui muoia...
Il regista giapponese ci regala una serie d’immagini d’autore di una natura soave e indegna che rapiscono lo sguardo del cinefilo appassionato, come, probabilmente, quello del “profano”, mentre dialoghi accattivanti trasmettono al meglio i sentimenti e le idee che guidano le azioni di tutti i protagonisti, in un film fascinosamente poetico e drammaticamente sincero.
L’anziana nonnina vive di ricordi, un ricordo in particolare che non potrà mai dimenticare, un “occhio malvagio” (una grande pennellata “surrealista” di Kurosawa che incanta ed emoziona) che quarantacinque anni prima sorse da dietro le montagne e le portò via il suo compagno di vita e tutte le sue certezze nei confronti dell’umanità. Tuttavia il rancore nei confronti degli americani, lanciatori della bomba, non esiste in lei. “L’unica colpevole è la guerra”, ama ripetere. Quarantacinque anni sono tanti, abbastanza per elaborare un lutto, per quanto tragico e assurdo, perdonare e dare un significato a quell’evento, soprattutto attraverso la propria fede e spiritualità perché razionalmente, in fin dei conti, non ha nulla di spiegabile (“Hanno lanciato la bomba per far cessare la guerra… Oggi la guerra è finita da quarantacinque anni e la bomba continua a fare vittime”).
E’ grande la purezza e bontà di spirito dei quattro nipotini che desiderano ardentemente andare in America per vivere una nuova e bella avventura, ma che, in un rapporto di rara tenerezza e di sapore di antico, manifestano grande affetto e sensibilità nei confronti della loro nonna e di quello che ha vissuto, mettendo sempre ciò prima dei loro desideri. Mentre Kane si ritrova a sfidare con decisione il pacifismo interessato del loro genitori e a dover rivendicare la dignità di quel morti e del loro ricordo. Ci penserà lo stesso Richard Gere “Clark”, figlio di Suzujiro, a mettere un po’ d’ordine in questo schifo di disvalori dei suoi parenti dell’estremo oriente, mostrando grande affetto, stima e rispetto nei confronti dell’anziana zia e dell’evento sconvolgente e terribile da lei vissuto (toccante la scena della sua visita al "parco della rimembranza").
Le musiche aumentano di grazia e stupore la pellicola.
Il finale è meraviglioso. L’anziana donna che intraprende una corsa contro tutto e tutti, rincorrendo il suo passato che non tornerà, senza avere il ricordo di una vita serena alle spalle nel quale potersi rifugiare.
Una pellicola degna del nome di Kurosawa, un ricordo amaro e drammatico nella storia del Giappone, ma anche un messaggio di rispetto, di lutto e di perdono… e un altro piovoso sabato sera svoltato positivamente grazie all’amico cinema.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Eh già, potente e delicato il tocco di un artista che non vede "occhi di serpente o di uomo, ma l'occhio di un bagliore"...nella foto di gruppo dei grandi si scambia un gesto d'intesa col nostro Fellini.

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