Nel mezzo

Questo è stato anche l'anno del ritorno di Kennet Charles Loach, Ken per tutti. Il regista inglese dalla parte degli ultimi che non saranno i primi, perché non sono beati, ha realizzato "The Old Oak". Sotto la semplicità dei grandi autori (tre i maestri nelle sale), si nasconde una limpida maturità. "Terza marcia" che, preciso, apprezzo, ché adoro andare piano (in auto), consona a riflessioni cocenti e approfondite.
Inghilterra del Nord, 2016. Siriani. Integrazione, nel soggetto del sempre stimolante Paul Laverty. Razzismo e retoriche xenofobe pronte all'uso. Non sarebbe mai dovuto essere che "chiudere una miniera è uccidere un villaggio". Quante lotte. Quanti film. Ma tant'è. I figli dei krumiri rullano. Tenere la bocca chiusa, un valore da mo'. "Non sono razzista, ma!" (a volte démodé). Non preme sulla violenza del conflitto (sangue o fame) ed Elena, nel proficuo post-visone, ha evidenziato che i profughi sono o giovani o non più giovani. Ma va dritto nel pettine il nodo di accettazione e remissività durata 40 anni (gli amici). Unica via per cambiare alcunché, la solidarietà (non beneficenza), che sia effettiva: nella lotta. "Mangiare assieme" sarebbe la panacea. Loach non è ingenuo, tiene a bada le retoriche coi contenuti. Vedo già le fiamme dell'"Old". Ma non scivola, neppure disponendo la banda degli stereotipi al loro classico angolo. Perché è sincero e usa un messaggio chiaro. Generazioni "date in pasto ai lupi" dal regime capitalista globale. Aiuto e sostegno impraticabili. L'emancipazione di tutti dall'economia passa per la sua distruzione mediante "forza, solidarietà, resistenza". Vicinanza. I sentimenti buoni che fanno vibrare. Con l'occhio di un fotografo, ottantasettenne, cosciente del mondo e presente a se stesso, firma un finale speranzoso, verso l'inizio d'un faticoso avvicinamento.
(depa)

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