Paul Schrader come Paganini. Con Elena, ci siamo fiondati a vedere il suo ultimo lavoro, alla ricerca di rigorosa eleganza e disperata ossessione. Abbiamo ritrovato la prima, nella seconda un'artificiosa costruzione. Parecchio vuoto, piuttosto, che stritola chi indossa, e ahimè chi racconta, svastiche, SS e altri simboli privi di vita. Senza sesso né violenza, una presunzione che si zittisce da sé. "Il maestro giardiniere" sfoggia una scatola sopraffina, con fiocco e tutto. Poi apri e aspetti.
Da un soggetto che il regista delle alienazioni non poteva rifiutare, un volto che è la metà dell'opera: l'algida e imperturbabile grinta dell'australiano Joel Edgerton è una minaccia permanente. Ma le intenzioni di Schrader, stavolta, sono altre. L'infantile visione calvinista elementarizza un intreccio intrigante che, privo di strappi, va a farsi benedire. Non si scappa alle proprie colpe, al passato, senza sparigliare ma non troppo. La redenzione di un nazi è andare a letto con una tossicodipendente nera. Per quanto sfavillante (svetta il fascino della settantaquattrenne Sigourney Weaver!), troppa è la banalità condotta al finale, per un autore che ha dimostrato di saper percorrere gli ossessivi meandri della psiche ben più incisivamente.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento