Troppi vani

Sulla lunga scalinata del cinema italiano disegnata dall'"Amico Foglio", tra i primi gradini sta il secondo lungometraggio di Michelangelo Antonioni. Il regista ferrarese, nel 1953, scolpì con delicatezza un petalo di ragazza, bella quanto sola, in mezzo a tanti elementi tossici. Elena ed io, in sala Valéry, per "La signora senza camelie".
Il candore di Lucia Bosè, la franchezza di Andrea Cecchi. La stazza di Gino Cervi. Clara è alla ribalta. Le carrellate son tutte per lei. "Francamente l'ho fatto perché mi servivano soldi" (Lodi non è il marito, ma l'amante). Commessa in negozio, notata da Gianni il produttore, la vita le arride! Un po' a rilento, come il processo di emancipazione della protagonista, mentre le controfigure piangono. "Reputazione e fama". Il "Cine Romolo"! Clara camelia delicata, donna alle prese con "una macchina enorme".
Pellicola in sordina come un dolore inespresso ("Sono senza destino"), per un elegante dramma borghese in re minore. Una storia semplice, "Non è così semplice", d'una ventiduenne ai primi e secondi errori.
(depa)

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