Altro valido suggerimento di Simone che, come si vedrà, s'eleverà al quadrato. Il Cinerofum conosceva già i versi sussurrati, le immagini sinuose, entrambi estremamente suggestive, di Pietro Marcello. Quindi c'è voluto poco (dai!), per piazzarmi sul tubo a vedere il suo terzo documentario. "Il silenzio di Pelešjan", del 2011, permette di cine-speleologare negli anfratti di Artavazd Pelešjan, autore armeno classe 1938, che col suo intimo e rigoroso "montaggio a distanza", prova a scuotere il sonno tra le immagini.
Presentato in TV da "Enrico Ghezzi e Stefano Francia di Celle [Re di Cogoleto] per Fuori Orario", conduce alla ricerca del montaggio che smonta. Dello stacco che fa il suo. Il pensiero corre al contrappunto, al confronto, sino al palo, ed alla frasca addirittura. Erra, tra i "guerrieri senza storia". In quel frammento c'è una fugace attesa (fuga per sé). Il silenzio oltre i suoi maestri. L'exploit all'accademia: in sala proiezioni, non in aula. "L'inizio" del diploma, nel 1967, poi due anni dopo, "Noi" ("Menka" in armeno, ché Pelešjan è regista armeno). "La parola come atto di violenza" (affogato e sposa), "in attesa che l'arte dispensi movimento alla materia" ("homo sapiens" mancato). Carrellate rubleviane, per un autore "in conflitto permanente col tempo" (ma no, niente, scazzi sulle rispettive volontà).
Quindi la citazione introduttiva sa di provocazione. Iperbole a ridare il senso, da buon sovietico, al montaggio. Lo stesso fa Marcello con Pelešjan. Ne apprezziamo tocco e spirito, e gli diamo, forse la soddisfazione maggiore. Addentrarci nelle stanze, distanti ma vicine (immagini in quarantena), del complesso regista. Una porta ne apre altre: pregevoli segnalazioni, quella di Simone, quella di Pietro, di Marcello (? A distanza).
"A me piace".
(depa)
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