Ricordamaro

Due domeniche fa, terzo appuntamento con la rassegna "PALESTINESE", acché si tenga lo sguardo, attraverso le lenti del mezzo cinematografico (non delle videocamere di sorveglianza, né quelle dei media-proni), sul conflitto israelo-palestinese. Guizzo autoriale, in piazza della Stampa. "Il tempo che ci rimane", del 2009, scritto e diretto dal nazareno Elia Suleiman, classe 1960, grazie alla maturità dell'autore, può permettersi l'amara ironia che lo pervade. Ancora l'assurdo, sketch mortali, frammenti di frammentazione d'una non-vita che nessun governo può risolvere.
Un'opera la cui solidità si coglie nella sapienza del tocco. Col pizzico di surreale che, come detto a fine visione, "bisogna averci i...", cinematograficamente parlando, perché affrontare le esistenze dei palestinesi non è una barzelletta. Passano i minuti, dimentica le facce intelligenti di Chiellini e le ipocrisie di ragazzini dediti ai milioni loro, Piazza della Stampa grazie alla delicata ma incisiva metrica di Suleiman, si ritrova più vicino agli abitanti di quel frammento di terra maledetto. Vecchie saggezze, atmosfere scomparse: non è questione di nostalgismo, ma di disfacimento attivo, complice assassino, di una socialità falciata. Debacle dell'umanità.
Occhio alla "Assurdo Cineteca Angelo Ballostro", quindi, che ci fa conoscere Suleiman, regista acuto e sensibile. Al posto dell'ennesima rigorata (sintesi dell'immobilismo del nostro pensiero), una grande piccola serata di cinema in piazza, una manciata di nuovi amici, una decina d'occhi puntati sull'eccidio permanente dei palestinesi.
(depa)

2 commenti:

  1. Niente male. Il regista ci racconta in chiave quasi surrealista un argomento tristemente molto reale. Inquadrature ricercate e fantasiose e personaggi terribilmente verosimili sono sicuramente le caratteristiche migliori dell'opera. Il risultato e' un film accattivante che colpisce al cuore lo spettatore piu' attento e sensibile. Il resto e' Settima...

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  2. Riproposto, in un Circolo Arci "30 Giugno" cui piove dal tetto; deserto. Peccato, ché a rivedere questa pellicola ti accorgi di quanto, in essa, l'assurdo sia più reale del reale. Di quanto sia profonda e spessa, sulla memoria che danza sui grandi soprusi e piccole vittorie passate. Scrittura robustissima, sull'alienazione di chi si chiede oggi, imbufalito rassegnato, Dove sia, senza nemmeno sapere Chi sia.

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