Nelle sale il vuoto, lo riempiono, tanto per cambiare, i sudcoreani. L'occasione sempre ghiotta di vedere un Bong Joon-ho sul grande schermo, di scavare nella filmografia dello spigliato e creativo autore, attento alle dinamiche sociali, come a quelle narrative. "Madre", del 2009, suo quarto lungometraggio (da noi uscito solo ora), subisce il nuovo doppiaggio, ma resiste, come l'indimenticabile organismo di puro istinto materno, interpretato da Kim Hye-ja (1941), andando all'embrione della questione.
Nell'incipit c'è molto dello stile dell'autore, della battaglia della protagonista. Un'allucinata speranza di giustizia, poi implosa nell'incapacità della comunità. Finisce sempre male dove questo vien spacciato per bene. Allora, la pace dello spirito in una macabra danza, che faccia il vuoto attorno. Marigrade, all'uscita dalla proiezione in suo onore (buon compleanno!), sottolinea l'utilizzo del suono, innovativo e pregnante, investito del ruolo che gli compete. Qualcosa d'imperfetto, le interpretazioni attorno alla madre paiono stonare. Ma, ormai, sappiamo il cinema di Bong, ben più attento a storytelling ed effetto scenico (da buon sudcoreano), che alle vette liriche. Non privo di attimi pungenti, l'andamento del noir tragicomico, come altrove, prevale (complice il suddetto doppiaggio nostrano? Sottotitolarlo?). Ripeto: senza intaccare il cieco nettare materno sprigionato dalla protagonista. Qui sta Bong Joo-ho.
(depa)
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