Dopo il primo incontro coi Fratelli Safdie, lungo il sentiero indicato, seppur scetticando, dal buon (non-genovese) Simone, Elena ed io imbastimmo subito un secondo rendez-vous. Il lavoro precedente dei due registi newyorkesi, Josh e Benny, fu "Good time", del 2017. Altro robusto esercizio di scrittura, altro giro di bassi synth. Ancora un frenetico schianto, di rabbia e ardore.
"Sai interpretare una frase?". "Io sono tuo amico". Nella "City". "Non dire ferro". Policy delle rapine. Thriller visivo, tinte forti sintetiche immerse nel ritmo oppressivo. Robert Paterson e lo stesso Benjamin Safdie, anima e corpo suvvia! Film eclettico, audace, non è matematica ma chimica. Tecnologia inghippo imprevisto. Nevrosi assicurata. Nuovamente gli elettronici ambient-drone (eh?) Oneohtrix Point Never, con un orecchio a Carpenter, alla transumana sonora. Riprese aeree all'ultimo grido, car view hi-fi; i soldi non mancano a questi indipendenti di Manhattan. Fari, neon, led, monitor, le fiaccole di questo viaggio al termine della notte (sotto i lampioni Michelle Torr). Quali sono i brutti tempi, quali i momenti vivi, gli attimi illegali?
Da vedere.
(depa)
Un bel mix di suspence, delirio e cattiveria pura alla base di questo thriller che si snoda in una trama fluida e piacevole e che regala anche un paio di bei colpi di scena. Ho provato anche tenerezza per la ragazzina cosi' facilmente soggiogata, e dispiacere per la guardia notturna che forse c'e' pure rimasta!?! Il personaggio del fratello diversamente abile del protagonista ha alla fine una parte marginale nel film e non mi ha emozionato piu' di tanto anche in quanto convinto sostenitore dell'antipsichiatria. A tal proposito, solo il finale mi ha lasciato un po' deluso. Comunque concordo: da vedere.
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