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Infine, domenica 18 luglio, si è conclusa la rassegna cinematografica in piazza, "PALESTINESE", proposta dalla "Assurdo Cineteca Angelo Ballostro". Nella quarta serata è stato proiettato "Il sale di questo mare" (2008), esordio alla regia da parte di una palestinese. Merito ad Annemarie Jacir, di Betlemme, classe 1974, che ne dovrà aver passate, per questo traguardo. Proprio come la protagonista, che, smarrite sicurezze e garanzie d'un passaporto internazionale, si ritrova nel tritacarne burocratico militare e culturale, statale, più avanzato del pianeta. Affrontandolo.
Dopo la manciata di temerari desiderosi d'altro che di rimbecillirsi davanti a milionari sgambettanti (il pensiero ne risente, risalgono i contagi, tutti a vaccinarsi), quest'ultimo appuntamento ha rivisto una degna partecipazione (la rassegna ha avvicinato una novantina di persone). E' stato un bene, ché seguire le vicende di Soraya, la simpatica e tenace protagonista, tiene ottima compagnia. Grazie ad una sceneggiatura avvincente, ma sensibile alle molteplici riflessioni, senza semplicismi, ma, anzi, ben ancorata a...muri, check-point e mitra spianati. Razzismo, prevaricazione, dominio colati ormai negli animi degli abitanti di una terra ormai avvelenata sul piano umano. La regista, emigrata sedicenne negli "States", trentaquattrenne quando realizzò questa pellicola, ribadisce al 'Rofum quanto vide col successivo "matrimonio" (2017): ottima cura della scrittura (anche un'esperienza a Hollywood nel campo), salda analisi socio-politica, acume psicologico (per quello che vale dove le menti sono sotto occupazione militare). Poi le immagini, con le diagonali degli onnipresenti muri a deviar le intenzioni, sui ricordi di una Jaffa senz'aloni di sangue. Da vedere.
Da cosa nasce co: è stato un piacere anche vedere e ascoltare il monologo di cinque minuti, scritto e recitato nel 2011, dalla palestinese Rafeef Ziadah (Beirut, 1979), "Noi insegniamo la vita, signore". Proposto da una delle partecipanti, è stato apprezzato dal pubblico in piazza della Stampa, perché punta il dito sul nocciolo, fuso, di un'umanità ormai trascritta in freddi versi di morte.
No Borders no Nations: stop Deportations.
(depa)

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