Fuga Montaggio

Altro valido suggerimento di Simone che, come si vedrà, s'eleverà al quadrato. Il Cinerofum conosceva già i versi sussurrati, le immagini sinuose, entrambi estremamente suggestive, di Pietro Marcello. Quindi c'è voluto poco (dai!), per piazzarmi sul tubo a vedere il suo terzo documentario. "Il silenzio di Pelešjan", del 2011, permette di cine-speleologare negli anfratti di Artavazd Pelešjan, autore armeno classe 1938, che col suo intimo e rigoroso "montaggio a distanza", prova a scuotere il sonno tra le immagini.

Donna nel pagliaio

"RaiMovie" "sforna" western (non paga e si fa pagare). Il Cinerofum, finché può, ne ingurgita la celluloide. Un modo come un altro per rincontrare Delmer Daves (1904-1977), quello della fuga tutta in soggettiva! Il regista di San Francisco, nel 1956, si adagiò su di un romanzo d'appendice, intreccio letterario dove ambizione e gelosia debbono forzatamente chiedere l'intervento di un cast d'eccezione. "Vento di terre lontane" (t.o. "Jubal").

Viaggio Termine

Dopo il primo incontro coi Fratelli Safdie, lungo il sentiero indicato, seppur scetticando, dal buon (non-genovese) Simone, Elena ed io imbastimmo subito un secondo rendez-vous. Il lavoro precedente dei due registi newyorkesi, Josh e Benny, fu "Good time", del 2017. Altro robusto esercizio di scrittura, altro giro di bassi synth. Ancora un frenetico schianto, di rabbia e ardore.

Macho piccolo

Punito. Tun. Faccio lo spavaldo, le vedo tutte. Pure le avventure. Poi me ne capita una come "Viva Gringo", classe 1965, vai a immaginare chissà che?, e invece te la meni con una compagnia stonata, tedeschi spagnoli e italiani (pure il coro bulgaro!), non se ne fa nulla. La conclusione registica del viennese Georg Marischka, 1922-1999, va in bianco. T.o. "L'eredità degli Incas", già dimenticato dagli stessi traduttori.

Tutti d'un pazzo

Sono passati mesi dalla mia permanenza nella clinica cinematografica "Mario Bava". E ancora circolano immagini di violenza, sangue su jeans strappato, coagulo su canotta lercia, coatti tra i raccordi, brbrb, meglio non girare (state a casa). "Cani arrabbiati" (o "Rabid Dogs", poi tributato, o "Kidnapped", "Semaforosso"), del 1974, ha tanti nomi quanti sputi, spari, morti, censure e finali. Bravo Bava pazzo, che scorribande sulla A-Settima.

Idiot W. Center

"Uncut Gems". "Scrittura" era il tema. E, dannazione, il film dei fratelli Joshua e Benjamin Safdie, "Diamanti grezzi" (2019), può esserne un capitolo. Dal panorama indipendente americano, i newyorkesi Josh e Benny, trentacinque e trentasette anni, in spigliata tensione, lungo il decline and fall d'un gioielliere ebreo: arcaico d'ogni civiltà a propulsione commerciale.

Progresso genocida

Vi ricordate Ciro Guerra? Dietro questo nome da capo ultras sta il regista colombiano che, qualche anno fa (2018), convinse nelle sale grazie da un'epopea ammaliante e incisiva, poiché fatale, della società colombiana (e non solo). Nel 2015, l'approfondimento antropologico-etnografico era già in corso, un risultato fu "L'abbraccio del serpente", gioiello visivo, documento possente, è "dedicato a tutti i popoli di cui non conosceremo mai il canto".

E brav' Vlisse

Chiudete i cinema, lo trovo da me. Come oggi pomeriggio, in cui ho aperto la Sala Valéry a Mario Camerini. Il regista romano, nel 1954, convocò alcuni "mostri" della sua arte, per un peplum dedicato ad "Ulisse". Il racconto di tremila anni fa continua ad affascinare, lungo le tappe della Ubris e dell'Umiltà, sino al riabbraccio dei pochi cari. Le fantasie omeriche narrate con sapienza dal prolifico cineasta.

Decomp Progress

Infine, domenica 18 luglio, si è conclusa la rassegna cinematografica in piazza, "PALESTINESE", proposta dalla "Assurdo Cineteca Angelo Ballostro". Nella quarta serata è stato proiettato "Il sale di questo mare" (2008), esordio alla regia da parte di una palestinese. Merito ad Annemarie Jacir, di Betlemme, classe 1974, che ne dovrà aver passate, per questo traguardo. Proprio come la protagonista, che, smarrite sicurezze e garanzie d'un passaporto internazionale, si ritrova nel tritacarne burocratico militare e culturale, statale, più avanzato del pianeta. Affrontandolo.

Bikini amari

Un mese fa circa è stato ancora Federico Fellini, col suo esordio. "Luci del varietà" (1950), però, è anche, e forse più, Alberto Lattuada. Co-regia, quindi, con strascichi d'autenticazione. Preferisco godermeli entrambi, succhiando la concreta vivacità del milanese, come l'agrodolce fantasia del riminese.

Ricordamaro

Due domeniche fa, terzo appuntamento con la rassegna "PALESTINESE", acché si tenga lo sguardo, attraverso le lenti del mezzo cinematografico (non delle videocamere di sorveglianza, né quelle dei media-proni), sul conflitto israelo-palestinese. Guizzo autoriale, in piazza della Stampa. "Il tempo che ci rimane", del 2009, scritto e diretto dal nazareno Elia Suleiman, classe 1960, grazie alla maturità dell'autore, può permettersi l'amara ironia che lo pervade. Ancora l'assurdo, sketch mortali, frammenti di frammentazione d'una non-vita che nessun governo può risolvere.

Casinho de frontera

Poi si è proseguiti (chi?) lungo un sentiero poco distante. Valicati i Pireni, medesimo scenario, una gran buridda tra indiani amici e bianchi infami, bianchi buoni e indiani incazzati. "Sette ore di fuoco" (t.o. "Aventuras del Oeste"), del 1965, è il nono film di Joaquín Luis Romero Marchent, ché da noi diamo i numeri, ed è dedicato ai "giusti di frontiera". Chi? Bill Hickok. Chi? Buffalo Bill! Ah..."i fondatori della futura confederazione!".

Mass-o-media

Allora, cerchiamo di ripartire. Il là me lo dà William Redford (1938-2017). Chi?! Paolo Squitieri, il variopinto politico e regista napoletano, che nel 1971 realizzò il suo terzo film: un western di dolore e odio, dove attorno già infuoca la violenza. Anche tra canyon e riserve, "La vendetta è un piatto che si serve freddo", ma ineccepibile e abbondante.

Repressione Capitale

L'Assurdo Cineteca Angelo Ballostro prosegue irrevedibile la sua rassegna in piazza, "Palestinese". Dopotutto, quella terra martoriata dalle sperimentazioni del Capitale, non fa altro che sublimare (in merda), le feroci dinamiche delle nostre evolute società. La galera è galera, la repressione è tale, in ogni angolo del mondo: "3000 notti" (2015), della palestinese Mai Masri. Ma prima, il corto "Selfie zein", della conterranea Amir Diab. Nelle mani di due registe, due storie di crescita e rivalsa nel centro dello sterminio.

A tutto

Nelle sale il vuoto, lo riempiono, tanto per cambiare, i sudcoreani. L'occasione sempre ghiotta di vedere un Bong Joon-ho sul grande schermo, di scavare nella filmografia dello spigliato e creativo autore, attento alle dinamiche sociali, come a quelle narrative. "Madre", del 2009, suo quarto lungometraggio (da noi uscito solo ora), subisce il nuovo doppiaggio, ma resiste, come l'indimenticabile organismo di puro istinto materno, interpretato da Kim Hye-ja (1941), andando all'embrione della questione.

PALESTINESE

Mercoledì scorso, nell'ormai solo mitico "30 Giugno" genovese, s'è svolta un'altra piccola lotta. L'"Assurdo Cinema Angelo Ballostro" ha riportato il cinema in strada (piazzetta della Stampa"), assieme ai contenuti: la rassegna "Palestinese" focalizza sull'inumana situazione dei palestinesi e della complicità di tutti gli Stati squalo. Incominciata col corto "The Present" (2020), della londinese di origini palestinesi, classe 1978, Farah Nabuls, e proseguita con "Valzer con Bashir" (2008) di Ari Folman, israeliano del 1962, la prima serata ci ha raccontato dell'assurdo e del brutale che sta dietro ai conflitti bellici, tutti.