Mi prendo una pausa dalle recenti scottature triestine, tuffandomi nel cinema classico che non tradisce, come finire in una clinica per disintossicarsi. Allo "Spazio Oberdan", il ciclo "Noi e le donne", è dominato dalla coppia ideale Bergman e Allen, artisti a braccetto lungo la loro ricca e indimenticabile passeggiata artistica. Diretto dal primo, "Alle soglie della vita", nel 1958, è un dramma intrinsecamente femminile: la maternità crea densi frangenti lampo che tutto possono generare. Per mostrarlo così, invece, ci vuole la sensibilità del grande autore.
Premio alla miglior regia a Cannes e, tanto per capirci, riconoscimento collettivo per l'interpretazione femminile. Questi due tributi, condivisibili, ben sintetizzano la caratura della pellicola, tutta ambientata in un reparto maternità, circondato da muro bianco e vetro offuscato, così attenta ai dettagli da captare l'attenzione dello spettatore sin dai titoli di tesa (dietro al vetro smerigliato c'è un subbuglio d'emozioni).
Come suggerisce la curatrice del ciclo di incontri a sfondo psicanalitico (femminile), Allen deve molto (come lui stesso ripete senza tregua) al regista svedese e al suo stuolo di attori feticci, in questo caso composto da tre donne che, ormai, riconosciamo: Eva Dahlbeck, Ingrid Thulin e Bibi Andersson. Volti unici, dolci e vigorosi, mossi da interpretazioni che lasciano il segno nella mente dello spettatore. "Bergman più serioso e trascendente, Woody più leggero", giungono alla stessa profondità psicologica.
E' un dramma rosa, come detto, in cui Bergman mostra ancora una volta la sua attenzione psicologica, al sapor di passione, per i moti che spingono ai piccoli gesti con cui l'uomo (la donna) cosparge i propri giorni (la più giovane che, tra le lenzuola, si volta ad osservare la compagna di degenza). C'è chi potrebbe ma non vuole, chi vorrebbe ma non può e chi, ancora, ha la fortuna di coniugare le due voci verbali nella stessa direzione. Poi, però, viene il momento; le carte in tavola sono scosse da un sussulto imprevedibile. E le direzioni possono cambiare bruscamente (alcune sono autentiche, altre nascoste, altre inconfessabili).
Il grande regista svedese ci catapulta tra le gioie e i dolori di quel frammento unico che è la maternità, con la naturalezza di un autentico filantropo.
(depa)
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