"Anche i re hanno le corna!"


Allo "Spazio Oberdan", forse su suggerimento di Bubu, è in corso un'altra retrospettiva dedicata al grande regista svedese Ingmar Bergman; questa sera era in programma "Una vampata d'amore", crudele allegra storia di tradimenti e disperazione, girata nel 1953.

La musica che accompagna i titoli di testa anticipa sapientemente ciò cui lo spettatore assisterà, repentina scossa: da note che dipingono fiorellini sparsi e cupidi volanti si passerà al tormento di sempre (poi la classica carovana bergmaniana, metafora di vita, si staglierà sull'altrettanto suo classico crinale). Echi d'espressionismo che diventano fanfara quando il racconto volge al passato, anche se appena di 7 anni, rappresentato tramite una recitazione molto fisica (slapstick muto e primissimi piani). D'altronde, chi doveva capire, non ha nemmeno ascoltato...
Splendidi dettagli che assumono il corpo di un'intera narrazione (la ruota sulla strada allagata); in viaggio, sui carrozzoni, c'è tutta la cricca del regista svedese (compresa, in formissima, Harriette Andersson, allora ventitreenne). Stacchi, dissolvenze e gesti eleganti (la magistrale perlustrazione della bella e ingenua Anna nel teatro  o quel suo ombrellino a dare il ciak).
Un nuovo interessante capitolo sull'opprimente gelosia, con letture, ora nuove, ora classiche (il duello, la sera dello spettacolo, è emozionate pur nella sua sgangheratezza). Il grande circo è un farsa, dietro i tendoni miseria e dolore.
Sapienti e disilluse le sequenze finali (diffidate dei sorrisi), la reazione violenta sempre verso l'altro, spesso l'unico innocente. L'amore può causare un colpo di caldo tremendo. Una birra ghiacciata, prego!
(depa)

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