Come la critica, così la lode. E' stato un buon anno per la distribuzione in Italia del cinema internazionale. Questa fiducia, a Ferragosto, spinge verso la familiare "Film Club". Pellicola argentina, co-prodotta con Messico, Spagna & Co., "Il supplente" è un valido thriller sociale che mostra le capacità del regista, Diego Lerman (bonaerense 1976), nel maneggiare mezzo e...messaggio. Sentimenti buoni quando c'è un approfondimento cosciente e onesto.
L'orizzonte iniziale è l'oppressivo skyline popolare. Fuga dietro un vetro opaco, sparire nei suoi rumorosi riflessi. Incipit efficace. La regia scorrerà stabile ed elegante sull'intreccio speziato, intossicato. Anche grazie a qualità degli interpreti (protagonista Juan Minujín) e cura dei dialoghi. Il prof piega la testa non reagendo alla preside stizzita (professionalità/autorità in bilico), di fatto rincantucciandosi nel confort della minuscola "real politic". Ma la m.d.p. ben tampina il nostro, nei suoi silenzi, nelle sue battaglie, con tocco davvero delicato. L'età degli amori goffi. Nella vita, malattia e morte (e distese di container). "Che" come intercalare esausto. Non vedere le cose dal verso giusto. Inevitabili perché reali stereotipi umani di quartiere (ed elettorali). Studio Legale Lombardozzi (Buenos Aires).
Canovaccio tipico, per il sesto lungometraggio di Lerman, col professore alle prese con le "classi turbolente". Dopo la mafia, irrompono droga e polizia (e l'osservatore ministeriale). Di differente c'è una maniera seria, non priva delle necessarie poetiche (intelligentemente, non la "tempus fugit"), di guardare ai problemi sociali, suggerire direzioni. Ma, soprattutto, del tutto originale ed incisivo è il finale. Non solo la "zona Cesarini" , con una serie di piani sequenza che ricordano le rabbiose banlieue di Audiard, quanto la chiusura. Proprio quel buio sperato. Per cambiare rotta.
(depa)
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