Tre su tre, per ora, al Festival del Nuovo Cinema Europeo. Non male questi "esordienti". Ieri sera Elena ed io per un film greco che si inscrive nel cupo racconto, cinematografico e non, della recente storia ellenica. "Holy boom" (2018), della sceneggiatrice ateniese Maria Lafi, al debutto registico, tratta delle tante droghe che affliggono i suoi concittadini e non solo. Una società che ammazza e si schianta agli incroci per macchine. L'umanità spunta inattesa dalle crepe di cemento, ma vien subito strappata.
Boom. Vassilias Kirakidis. Bam. Un nome. Un documento per vedere il cadavere del caro (di questi tempi nemmeno). Chi se la sfanga, chi ha paura, chi aggredisce, chi non ne può più. Prevaricazione e dominio sulla lingua. "Parli lentamente per favore". "Certificat personale". Algide regie greche. Tolgono il fiato, accelerano il battito. Già, i morti costano. In chiesa la questua, Dio Denaro sotto il naso. Sudditanza e Potere. Taglio ottimo, lock & stockati nell'Atene infuocata. Vari degradi, tutti civili. Nello Stato di Polizia.
Intanto compaiono gli altri, i soli, la maggioranza (non silenziosa: senza voce). Scena pazzesca, con l'ammazzato al centro e le gambe delle devote. Cattivo.
Esplosioni che mandano in tilt pure me (ce n'è da fare). Elena parla di moke (donny darkelli, forse evitabile, ma trascurabile). Soli, nel sottosuolo. Dove con tutto questo rumore non si sente. Voto senza delega 7.5.
(depa)
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