Ieri
sera ci siamo tutti rinchiusi nelle nostre tane, visto il freddo
devastante piombato su Genova. Io ho deciso di trascorrere questa serata divanosa riguardando il
film che, secondo me, rimane ad oggi
il miglior lavoro di Tim Burton. Il regista di Los Angeles ama
inventare e raccontare favole, ma in "Big Fish" la sua
creatività è andata oltre: invece che raccontare la storia di un
personaggio "favoloso" nel mondo reale, rende "favolosa" la vita di un
uomo "normale"...
Edward McGregor è il protagonista di questa ottima pellicola del 2003,
una favola moderna che regala allo spettatore momenti romantici, di
avventura e drammatici.
Grazie alle splendide scenografie ben riprese su pellicola, lo
spettatore si sente catapultato in una cittadina tranquilla di
periferia, in un bosco pericoloso, in un circo di personaggi strani e in
altri fantastici posti, in una trama che intreccia continuamente
racconti "favolosi" di vita passata del protagonista con la
realtà del presente.
Ottima
la recitazione di Ewan McGregor che interpreta Ed da giovane e della
pupilla di Burton, Helena Bonham Carter, come di tutti gli altri
interpreti trai quali va citata una bella comparsa del bravo Danny
DeVito nei panni di uno strano direttore di un circo che Ed, come detto,
incontra lungo il suo percorso di vita. E in questo cast non manca neanche il fascino femminile grazie alla presenza dell'attrice francese Marion Cotillard.
Due ore all'insegna del sogno, ma anche della suspense perchè
più il film va avanti e più, oltre che sapere come prosegue la storia
della vita di Ed, come nel figlio Will (Billy Crudup), anche nello
spettatore cresce la curiosità e il desiderio di capire se queste incredibili storie
sono realmente accadute o sono solo invenzioni del vecchio Ed.
Come
detto, non mancano neanche i momenti di romanticismo che si vivono
attraverso il racconto dell'amore smisurato che c'è tra Ed e sua moglie, sempre protagonista nei racconti della vita del marito.
Una
pellicola decisamente gradevole e affascinante, che alla fine mi ha
lasciato con un mezzo punto interrogativo in testa sulla veridicità
delle storie del protagonista, ma il messaggio mi è sembrato chiaro: non è importante avere una vita favolosa, bensì basta riuscire a vedere la propria
vita e a viverla come fosse una bella favola. Bella.
(Ste Bubu)
Rivista ieri dopo 5 anni, continuo a trovare questa pellicola meravigliosa. La macchina dei sogni spinta verso atmosfere altissime. Una favola ricca di fantasia per ricordare l’importanza ed il fascino di saper ascoltare una stessa storia anche un milione di volte, essendo di volta in volta un viaggio diverso e, quindi, nuovo.
RispondiEliminaAttori azzeccati e abili, vero e proprio baraccone immaginifico (ottimi come al solito Danny DeVito e Buscemi, poi c’è il “sindaco” di Spectre, un mito…).
Se quest’eccezionale storia è dello statunitense Daniel Wallace, la scena del vorticoso ballo finale nella linda Spectre è di Burton, la casa storta è Burton (quindi espressionismo: Lang, Weine, von Sternberg…) e così via…
Non ho provato curiosità di sapere quanta fosse la percentuale di verità nel fluido immaginario del mitico Edward Bloom, proprio per questo preferisco la parte in cui non ci si pone il problema (il figlio William non ha ancora iniziato la sua indagine). La forza della pellicola sta proprio nel dimostrare che, in fondo, è così: ognuno vive la propria fiaba, ognuno con le proprie dimensioni, nelle proprie stanze, i propri spazi. Dal proprio punto di vista, connubio di fisica (dove siamo) e chimica (cosa ci gira in testa), ciascun individuo tratteggia il paesaggio che lo circonda, la situazione dinnanzi. La più folle visuale sul mondo è in realtà la più diversa, la più lontana, la più unica.
Finalmente il talento di Tim Burton, fantasioso bambino dell’Alabama che gira tra cimiteri e Vincent Price, è stato accolto nel Cinerofum da Bubu. Perché di registi così visionari, il cinema ha davvero bisogno, per tornare a raccontare di quella magica, “parecchia” differenza tra gli 8 e i 18 anni, e ricordare come questa distanza possa rimanere, in realtà, la medesima in eterno, se ogni individuo si dedicasse a tracciare con coraggio un proprio mondo, senza applicare alle proprie pareti quadri già dipinti da altri (se non addirittura stampe da bancarella).
Non è un girarsi dall’altra parte, rinnegare il reale per non soffrire, ma trovare lo slancio perfetto per intraprendere la strada più difficile senza rinunciare al primo attacco. Su alcuni muri sessantottini (Via Balbi) era possibile leggere “Basta fatti, ridateci i sogni”.
I buoni sentimenti raccontati così si trasformano in belli.
"Dimentichiamo tutto quello che ci hanno insegnato e ripartiamo dai nostri sogni" (Saracinesca in Via degli Orefici - Centro storico di Genova).
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