"Svensk Filmindustri". "Regi Ingmar Bergman". Ed agli appassionati in sala Alda Merini scappa una sorrisetto soddisfatto. Eccoli lì i marchi inconfondibili. Questa volta è il turno de "La fontana della vergine", del 1960, film con cui il regista svedese ci raccontò, ancora una volta, un (suo?) atroce dubbio religioso...
"Dio non vedi? Perché permetti, la loro violenza, la mia vendetta!?" è il disperato grido finale del padre cui è capitata la somma disgrazia.
Ma prima di giungere a questa (mia?) sciocca sintesi, il cinema di Bergman si srotola pomposamente lungo tutta l'ora e mezza di film. Giochi di luci e di ombre; volti caratterizzati e ben scrutati; alle preghiere e alle vesti eleganti (alla sacralità del gesto religioso), ripresi con solenne lentezza, fanno da contraltare le sequenze che narrano dell'irrequietezza delle anime (sia quelle salvate da Dio sia quelle in pasto ad Odino) e della violenza apparentemente ingiustificata (la scena dello stupro è veloce e potente).
Simbolismo pagano e religioso. Ci sono il corvo nero porta sfiga e la rana nel panino (?); le lunghe candide candele e il miracolo divino. Solita dissertazione teologica di Bergman, ingabbiato dalla religione luterana di suo padre, incuriosito dalla mitologia norrena della sua patria.
Il succo è che se la ragazza non fosse stata obbligata ad alzarsi, dopo una notte di baldoria, per adempiere ad una stupida tradizione religiosa, adesso sarebbe felicemente sposata (e divorziata) col fusto del villaggio in fondo alla valle.
(depa)
La drammaticità delle scene più toccanti arriva potentissima in una trama scorrevole e sorprendente nella sua seppur così semplice evoluzione, quanto resta invece complicata la sua analisi (grazie carpa per essermi giunto in soccorso con la tua recensione). Altre domande tendenziose sull’esistenza di Dio segnano la fine del percorso, sequenza dopo sequenza quadretto dopo quadretto…
RispondiEliminaCome al solito l’ho trovato un Bergman difficile da "capire" e impossibile da non adorare.