Giornata di grande cinema quella di oggi. Dopo un Cukor da applausi, altro filmone da vette cinematografiche irraggiungibili, per altezza e potenza. Il secondo film è addirittura esplosivo: "Stromboli terra di Dio" (1950) è un film pietra miliare del neorealismo italiano, regalatoci da un Roberto Rossellini innamorato più che mai della terra (quella che si può stringere nelle mani), della gente e della "sua" incantevole Ingrid Bergman.
La storia è semplice, roba di poche righe. Però il regista è Roberto Rossellini, quindi l'intreccio è guidato dalle emozioni, dalla disperazione, dalla rabbia, dai bisogni e dalla determinazione dei protagonisti. La forza del film è mantenuta da scene indimenticabili: la splendida e tragica sequenza della mattanza dei tonni, quella della travolgente fuga dall'Isola, la potentissima salita della Bergman verso la cima del vulcano (unite una natura inarrestabile e una madre-donna-disperatala e capirete). Ma ciò che disarma sono la naturalezza e l'eleganza con cui Rossellini segue ogni cosa, che siano i volti dell'isola (le donne in nero "scandalizzate" e i vecchietti che ricordano di "Broccolino" a New York, tutti non professionisti), che sia il disperato deambulare senza speranza della Bergman, in camera, tra i muretti bianchi o sulle pietre laviche (mi ha ricordato il girare a vuoto tra le macerie del protagonista di "Germania anno zero").
Forse il finale stroppia un po' nell'invocare il divino (in quella maniera), ma ci sta. Di fronte ad una terra così, che sicuramente da e toglie in maniera simmetrica, ma con estremi che distano particolarmente dal punto mediano, la disperazione può eruttare in qualsiasi modo.
Non c'è bisogno che vi dica cosa fare.
(depa)
Sia chiaro, quell'invocazione finale ha poco di cristiano, è l'appello disperato di chi sa che "A me Dio non mi ha mai aiutato!".
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