Eccoci. Dopo quanto, due anni, tre? Quanto tempo è passato dal primo incontro del Cinerofum, sala Blauzer se non erro, col regista danese Carl Theodor Dreyer? Quella sera (ora ricordo, Aprile 2011) crollammo tutti (anche se la Ele smentisce), ma di ciò scriverò un'altra volta; qui è il momento di chiedere scusa al regista che nacque e morì nella città della Sirenetta e di raccontare del suo celebre "Dies Irae", del 1944. In piena Danimarca occupata, lo sguardo rassegnato della giovane "strega" protagonista, dinanzi all'inevitabile rogo, nasconde un grido di suprema indignazione.
Il film è solenne: nei temi, nell'ambientazione e nella tecnica. Il bianco e nero, indirizzato sapientemente dagli autori e, in particolare, dall'attenzione maniacale del regista ai dettagli, è perfetto nel non lasciare spazio vuoto allo spettatore. Tutto ciò che si sposta, lentamente, sullo schermo, serve a raccontare una delle tante storie di intolleranza, di follia, di idiozia.
E non s'accontenta delle immagini, l'intelligente e profondo Dreyer, nelle bocche dei protagonisti pone poche parole ma che, dietro di sé, guidano veri e propri eserciti. Quelli composti dagli ipocriti, dagli stupidi...quante esistenze sono state buttate alle ortiche, in rovi di dogmi assolutamente privi di senso (o peggio)? Infinitamente di più (tanto per capirci) di quelle immolate sui roghi, che vanno a dar forma ad un altro degli eserciti di cui scrivevo sopra. Lo squarcio, se aperto del tutto, crea angoscia tutt'attorno. Per raggiungere ciò, il regista fa compiere alla direzione del film pure qualche volteggio: "Chi la fa l'aspetti!" sembra un attimo prima, "Però i demoni esistono..." quello dopo. La madre di Absalon non la si può sopportare ("Che odiosa creatura!", belìn ha parlato Topo Gigio, e fatti una risata!), Absalon neppure (rincretinito più che mai e pure mandrillo, ipocrita!), quando meno te lo aspetti ci casca pure il figlio Martin...
C'è poco da fare, pare sconsolato Dreyer: finché certe idee di fondo vengono lasciate crescere come erbacce per le strade, è inutile stupirsi che, nel momento del "bisogno" (di rinsavire, di giustizia), anche chi ha parlato di promesse, onore e fedeltà, crolli nella maniera più misera ed infame.
Una base intellettuale solida non può certo essere quella che, senza evoluzione alcuna, l'Europa si portava a presso agli inizi del 1600. Figurarsi poi, se pigri clericali e nazionalisti ubriachi, ci hanno costruito sopra per i 300 anni successivi.
Pellicola non leggerissima, soprattutto nella prima parte, ante-"svolta" di Anna (anche se comprende la potente sequenza del rogo di Marta), ma che in definitiva tiene il ritmo, grazie a quella "tensione che si crea nella calma" di cui Dreyer era sicuro; a due anni da quel crollo dinanzi a "Gertrud" (la quale, invece, rimase in piedi), dopo aver approfondito un poco il mondo Cinema, lo siamo anche noi.
(depa)
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