Dalla televisione, invece,
l’occasione per fare un altro passo con Darren Aronofsky. Strana filmografia
quella del regista newyorkese. Nel 2014, al suo sesto lungometraggio in sedici
anni, decise di mettere sul palco verticale il personaggio biblico,
immaginario, di “Noah”. “Noè” per noi infanti italiani, quello dell’arca
e della coppia di liocorni. Ma i temi sono da adulti devastatrici della vita
sul pianeta.
“In principio era il nulla”, ma “la tentazione portò al peccato”. Insomma,
l’Eden e Abele poi Caino e via così. Bene e male sparsi fiabescamente nel libro
più diffuso (qualcosa vorrà dire). “Fantasy” dice Elena. Peplum con le nike
air. Gran dispendio di digitale. Dimenticavo, c’è anche Seth. “Scaveremo
qui!...su tutte le terre sacre!”. Problemi che attraverso i millenni. Noah è
quel ragazzino lì. Ma Caino arriva ovunque, passa dai boschi di Chieti,
raggiunge gli incubi. Fantasia, sì, coi Vigilanti di Pietra, lontani cugini di
Mordor, a difendere la Terra. Fotografia sintetica, pop, colori artificiali
provenienti da Madre natura, vivaci sino a quel cazzo di giorno, quando un
diluvio devastante e un’arca da dio si lanciano la primordiale sfida. Salvare
il salvabile. Servono ingenti quantità d’acqua. Film animalista, se non
ambientalista, con le bestie uniche innocenti. “Speranzoso” dice Elena. Mica
tanto, d’altronde è il prologo immaginario dello spettacolo odierno, ma
soprattutto è presto…Noè capitano ossessionato, in versione guerreggiante,
gladiatore del creatore. A dieci minuti dalla fine “se sarà una femmina dovrà
morire” ed ecco il vero, tardivo, Aronofsky. Meglio l’ultima parte, dark
side of the movie, e chissà che non sia andata così…W le seconde possibilità! (che non esistono…).
Ma la colomba col ramo di ulivo? Aveva ragione Elena…(depa)


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