Come leggete, fioccano i defatiganti thriller televisivi. Un
modo come un altro per conoscere Bruce Beresford (1940), regista australiano capace di
Oscar e di “successi al botteghino bastonati dalla critica”. Anche se con
“Colpevole di innocenza” (t.o. “Double Jeopardy”), del 1999, l’esponente
della "New Wave" australiana può vantare un’ottima “performance femminile”,
lo stesso non può fare con la scrittura (intreccio e dialoghi): tagliato con
l’accetta.
Quindi, a quanto ho capito, l’australiano era già a Hollywood da un po’.
Scritto da altri, come un cottage sul lago…Paesaggio paradisiaco squarciato da
un’apparente tragedia. Ci chiediamo già le speranze di successo dietro a un
piano così, un secondo di legal movie (però decisivo), un altro da “women
in prison”, mostrando nel breve lacune lunghe (i dialoghi dell’avvocata
dell’accusa). Un intreccio telefonato (non manca l'incastro finale col
registratore). Regia uguale. "Ne bis in idem" a rendere pepata la vendetta. L’assistente
di Seattle (Washington, ehm, Tommy Lee Jones) carogna e sessista lo fa per noi. Libertà vigilata. “Fanculo
il tuo coprifuoco!”. Ben movimentato nella fuga, la corsa sulla spiaggia, i soldi
sotto i pomodori, la gag della carta di credito. Ma nel setaccio resta il
personaggio principale, Ashley Judd (1968), vera “dura a morire”, donna, mamma,
moglie vendicatrice. E alcuni scorci obliqui al neon della New Orleans turistica.
(depa)
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