Lotte coi brindisi

Cerchiamo di recuperare le recensioni perdute. Ma vien voglia di partire da ieri, da quell’”Anteprima italiana al Nickelodeon”, sponsorizzata nientepopò che da Marigrade. Con "Amerikatsi", del 2022, e la tagline, il regista, classe 1971, ormai più che americanikatsizzato, Michael A. Goorjian, si permette di suggerire al popolo armeno che “La libertà è uno stato mentale”. Come se le vittime dei genocidi, quello del Nagorno-Karabakh / Artsakh (a quando Syunik?), o quello di Gaza, potessero combattere strizzando l’occhio al secondino. L’aria è immobile a tutte le latitudini.
“Garo! Garo!”. Impero ottomano 1915, i turchi fanno piazza pulita degli armeni (Atatürk benedice). 30 anni dopo, Stalin si offre di “ricomprare” il milione di profughi dispersi…”Questa è la storia di un rimpatriato”. La didascalia iniziale, ahimé, è l’unica cosa, interessante e doverosa, da ricordare. Ben presto imprigionato per le consuete e presunte dichiarazioni sediziose (sempre la ragion di stato), il protagonista rischierà la Siberia, salvato da un terremoto (mica scappa il furbone). Carcere duro, isolamento. Una finestra sul cortile, coi suoi oggetti, gesti e personaggi, a riempire il vuoto quotidiano. Toh, guarda un po’! Il dirimpettaio è un secondino, ma dall’animo artista! Il nostro eroe, interpretato dallo stesso attore californiano (“Genitori in blue jeans” impreziosisce il suo CV), soffrirà rassegnandosi alla nuova condizione. Ma adattamento è accettazione. Tocchi di bassa hollywoodiana che, se avessi saputo che…, chiariscono taglio e destinatari dell’opera. C’è l’angelo della neve (L. Simpson), c’è una porticina di legno inapribile senza chiave. Romanzetto retorico come insegna il cinema americano, con le mele marce che diventano buonissime (materialmente impossibile a meno di farne polpa). Lo sbirro che, sul finire, regala il vino alla preda, è quello stesso sadico d’inizio film? Come chiedere di attendere il regista in sala? Anzi, gli è andata bene.
Averlo visto mentre si legge il “Mussa Dagh” di Werfel (1933), di certo non aiuta ad apprezzarlo. “Garo” è la cicogna simbolo di chi se ne sta. Come nella realtà, civile: il contentino del diritto di poter essere sfruttato. La solidarietà che intendo col popolo armeno in lotta per l’esistenza è quella di raccontare gli spiriti liberi non solo nella mente, ma anche nelle gambe e nelle braccia, pagando ciò con la repressione più spietata.
Pochi cazzi, pare un film amerikazzi.
(depa)

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