Storia di un vigliacco

Non demordere, inseguire tutte le tracce, aggrapparsi a ogni fronda di celluloide. Un fatto: è grazie a RaiPlay se, dopo 10 anni, Jean Renoir è tornato al Cinerofum. Nel 1943, "Le Patron" era a Hollywood, smanioso di additare paura e immobilismo dei suoi colleghi francesi. "Questa terra è mia" ha il fascino e la pesantezza di uno slogan non risolutivo.
Seconda delle sei pellicole hollywoodiane degli anni Quaranta, la prima per "RKO", dirette dal parigino. "Somewhere in Europe"...stacco, "1914-1918, in memoria ai caduti" incide un monumento...stacco, giornale che annuncia l'invasione hitleriana. La scarsa memoria dei popoli.
Renoir naturalmente sociale. Nel disordine bellico, "Le donne pensano sempre alle loro gambe" (?), attorno, la storia di uno dei tanti Albert, pavidi, per nulla resistenti, per i quali sopravvivere lungo le sponde del fiume è lo slancio primario. Quando "Fanno il deserto e lo chiamano pace", urge la rivalsa, rivolta dell'animo, la dura lotta per la dignità. "Qualcosa è cambiato", sinanco per un industriale (poco prima del suicidio). Storia di un codardo conclusa con un improbabile processo giudiziario, col il finale retorico non all'altezza. Come se il "vecchio ordine" fosse giusto e libero. O come se ci fosse bisogno di essere operaio o di assistere ad una fucilazione. Demagogico debole democratico come una carta dei diritti dell'uomo. Conseguente e inattesa  mancanza di eleganza.  Forse nel 1943, come oggi, non era tempo. Basta eroi.
Dimenticato il finale, resta un film da riscoprire, se non altro per la forte interpretazione di Charles Laughton, indimenticabile pauroso.
(Depa)

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