Ieri sera, Elena influenzata, tuttintutasuldivano in sala Uander. Proseguendo nel lungo percorso, irto d'ironia e intelligenza, tracciato da Woody Allen, abbiamo fatto tappa presso la località "Harry a pezzi", a quota 1997 d.c.. Da laggiù è stato possibile osservare un altro lascito del geniale regista newyorkese, un torrente di battute, quindi divertenti, quindi acute.
Non c'è verso, non ne sbaglia una. Ma sì, togli quel "Rome...", e quell'altro là...ma, gira che ti rigira, Woody il suo cinema lo fa bene, tributando e creando. Quello visto ieri è un film dal carattere particolare, a ritmo serrato, col montaggio a ribadire questa frenesia, incespicando volontariamente. Come molti suoi film (e, forse e magari, di ciascuno), anche questo è strettamente connesso alle sue vicissitudini del momento, reazione biologica. Woody scherza con sé stesso, qui giustificandosi, là implicitamente invocando prime pietre scagliate, comunque mettendosi a nudo, velo più o meno spesso.
Woody più propenso del solito alla parolaccia, come dire: "pane al pene", col suo personaggio più impelagato nei cavalloni del sesso. H. Block è il prof. Borg di fine XX secolo, scapestrato scrittore (ma con discreto successo, soprattutto in ascensore), col Chiodo Fisso piantato nella zucca. Maniaco della donna, del suo corpo e dei suoi possibili utilizzi, ne passerà di tutti i colori. La girandola di gag è più che mai fantasiosa, l'eccezionale sceneggiatura lo permette. Può succedere di tutto, ha campo libero Woody e alla parata ha invitato un cast di gente.
Oltre ad Harry, ad essere fatto a pezzi, ci sono anche religione, show-biz, critici di professione, ipocrisie varie e molto altro. Il solito Woody, a valanga. Battute memorabili: "6 analisti fa", "Il mio lo chiamerò Dillinger!". A spron battuto, poco tempo per rifletterci oltre misura, uno shot di risate, come dovrebbe essere la vita (senza scordarsi del cervello). Sketch esilaranti quanto geniali: Robin Williams sfocato; la chiacchierata tra le due sorelle; la prosperosa compagna improvvisata (il personaggio più stabile, dopotutto); la discesa agli inferi (la puzza di zolfo!); l'acuto, psicanalitico, scambio di battute con il proprio alter-ego al luna park. Getto continuo. Su tutto, l'ammissione della propria incapacità di fronte al sentimento amoroso classicamente inteso. "Amare i bambini è facile, sì anche il baseball, ma con le donne...". Frase che, visti i fatti personali di quegli anni, può suonare anche orribilmente sibillina, ma che inquadrerei, piuttosto, come ironica e sincera confessione, incastonata in quest'opera che è l'ennesimo suo tributo al cinema, alla prosa, all'arte.
(depa)
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