
La protagonista, Paulina Garcìa (cilena classe 1960), osannata dalla critica, fa un gran figurone, facendosi carico dell'intera pellicola. Tutti gli occhi su di lei, sul suo fisico un po' in là (ma non è che son tutte la Ferilli), sul suo sorriso che apre finestre su attimi felici passati da tempo. Il fascino ce l'ha, difatti ci cascano. La sua solitudine non è così avvilente. Lo è come ogni serata di ciascuno passato al banco da solo. Ma lei, autonoma e leggiadra, va addirittura in pista. E' già un segnale. Ha un lavoro, ha una tata, può girare per locali ben frequentati. Il dramma non c'è. Non è un film drammatico. Volere del regista, certo (non sto scoprendo l'America). E proprio qui sta la delicatezza di questa pellicola e il piacere nel guardarla. Si tratta di uno scorcio, senza ampia vista, su una vita come tante. Beh, condito da qualche ingrediente alcolico (o più), è vero; ma riconducibile alle esistenze della grande fetta delle donne (dei paesi industrializzati, perlomeno). A tratti pare lei, la covatrice di turbe invisibili (la prima fuga e le telefonate del nuovo "ganzo", sono peccati su cui, oggettivamente, si potrebbe indulgere). Ok, il trascorrere del tempo, il consolatorio rifugiarsi nel mondo animale, là fuori è un gran casino...Ma, in realtà, Gloria è in gamba. Cavolo, se lo è. Avercene.
Va bene così. Fa piacere, ogni tanto, scoprire di potersi "accontentare" di una "storia normale". Qui sta il punto. Ciò può accadere solo se quella storia è raccontata con la giusta metrica, l'onesta leggerezza. Da vedere. Soprattutto per capire che diavolo ho scritto.
Buon fine settimana.
(depa)
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