Ieri sera tutti in giro, basta sala Uander! Andiamo a vedere quest'"Ostello Bello", davvero bello! Prezzi milanesi e tanta libertà! Poi al cinema! Alèèè! Niente. Elena iscrive nel suo albo d'oro l'ennesimo errore organizzativo. Cinema e orario sbagliati. Fottuti. Toh, che peccato! A casa c'è giusto-giusto un Fassbinder che c'aspetta! "Uhm, semmai metto in ordine casa". Questo è lo scenario che circonda la sala Uander, dopo 4 anni. Sigh! Altarini & Scheletri. Ormai lo sapevate. Io non ci bado, sono in ecstasy, estraggo dal cofanetto e inserisco: "Germania in autunno", del 1978, è una pellicola corale, una decina di esponenti della Settima, tutti o quasi figli del "Nuovo Cinema Tedesco" a raccontare l'ebbrezza di violenza che colse la DDR in quegli anni.
Film politico sociale. In particolare sul periodo successivo al rapimento/assassinio di un industriale; in quegli stessi anni ci furono un dirottamento da parte delle "RAF" e dubbi suicidi nelle carceri. Parole e pensieri pesanti, senza tempo, su cui riflettere.
Fassbinder, sua la fetta più grossa, rende questa pellicola anche intimista. Autentiche le sue crisi, la sua rabbia, i suoi dubbi. Emozionanti le discussioni con la madre. Emergono anche idee che vanno ad esplicitare (se ce ne fosse bisogno) il suo pensiero riguardo al matrimonio ("Martha"). Fassbinder si mette a nudo (nel vero senso, anche), su tutto, sconsolato, distrutto, incazzato: "Fuori di qui, ho detto!".
Tra gli altri autori Kluge ("Leone d'Oro" '68), Schlöndorff ("Palma d'Oro" '79) e Reitz (quello degli "Heimat"). La differenza stilistica è abbastanza evidente, accentuando il fascino dell'esperimento artistico. Nel caleidoscopio d'immagini, ne conservo una, in particolare: quella finale della madre che s'incammina con la figlia, dopo il funerale dei tre compagni, osando un autostop, di tanto in tanto.
In un film nazional-biografico, mai superficiale, con sullo sfondo immagini storiche angoscianti e naturalistiche suggestive (tutta la matura sensibilità di questi grandi autori affiora alla massima espressione), il fardello di un assurdo passato confluisce nell'esistenza disperata di autori e personaggi dell'epoca, della loro generazione. Clima di tensione, terrorismo e censura. Arte e vita travolti da una brutta stagione che pare senza fine. Nulla è cambiato, altri "Biberkopf" per le strade. Altri "Luders", altri "Reinhold" in cima alla piramide come in fondo, eccola l'osannato male minore, la democrazia. Analisi profonde (un esponente delle RAF in carcere) e frasi che inchiodano la bruttura (lo scrittore e il cantautore: "Le nostre ferite non vogliono guarire, sotto la sudicia benda"), davvero un documento notevole. Che non può che concludersi con la ballata a "Nicola & Bart", a ribadire una continuità che mette i brividi.
Insomma, la Meretrice Babilonia è ancora in piedi.
(depa)
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