Ieri sera, la sala Ninna ha
deciso di seguire le orme della sala Uander buttando su un gran bel Fassbinder.
“La paura mangia l’anima” (1974) è un
film molto potente. Dialoghi pungenti come lame di un pugnale, affilato
dall’ignoranza e reso letale dalla cattiveria, ripresi con inquadrature mai
banali, indagano uno dei più grandi problemi (se non, il più grande problema) della
società moderna: il razzismo.
La storia è ambientata nella
Germania Ovest degli anni settanta, figlia diretta della Germania nazista di Hitler,
nella quale, da quello che racconta il regista e sceneggiatore tedesco, alcuni disvalori
di discriminazione razziale erano ancora belli vivi.
Spesso il cuore mi è sobbalzato
in gola dalla rabbia che mi saliva per l’assurdità e la stupidità dei commenti e
le conseguenti malignità che chiunque faceva parte della vita di Emmi e del giovane Alì non
risparmiava loro, ostacolandone l’amore e la felicità.
Il clima è tetro e il mio umore,
come quello dei protagonisti, grigio per tutto il film e ciò viene proposto da Rainer Werner Fassbinder attraverso messe in scena spesso traboccanti di colori sgargianti. Immagini
da mozzare il fiato che hanno l’effetto di catturare ancora di più l’attenzione
dello spettatore e rendere ulteriormente appariscente il sentimento di
sconforto e tristezza dei due protagonisti. Praticamente una continua goduria
per gli occhi e un continuo stimolo per i sensi e la mente. La scena del parco è emblematica: un’immensa serie di sedie
e tavolini vuoti color giallo paglierino circondano i due innamorati che sono
seduti ad uno di essi, quello centrale. Sono soli, emarginati, lei scoppia in
un pianto forte e improvviso a cui segue un lungo silenzio che precede la dissolvenza
a nero in uscita. Tutto esteticamente splendido e molto emozionante.
Accattivante anche la scena nella
quale i due protagonisti vanno a cenare nel ristorante dove si accomodava
sempre un certo Adolf Hitler. L’inquadratura effettuata dalla stanza di fronte
a quella dove sono seduti Emmi e Alì rende alla perfezione l’idea della loro solitudine
e di quanto sia assurdo e nello stesso tempo meraviglioso che proprio loro due
stiano mangiando a quel tavolo.
La trama cambia un po’ quando
anche Emmi si dimostra non totalmente estranea a pensieri discriminatori nei
confronti di suo marito in quanto arabo. Forse è solo stufa di sentirsi
emarginata a sua volta e inconsciamente si piega ad essi, fatto sta che anche
l’ultimo terzo di film, che si concentra più sull’amore trai due, è valido ed
emozionante e il tema centrale rimane comunque sempre il razzismo, per il quale, gli altri, loro due e anche tutti noi, finché non sarà un
assurdo e triste capitolo della storia della società umana, dobbiamo sentirci
colpevoli.
(Ste Bubu)
Sono commosso. Era proprio 4 anni fa quando partimmo per il nostro viaggio cinematografico. La seconda tappa fu proprio "La paura mangia l'anima" (presente nello storico, poi abbandonato causa uso eccessivo di film). Noi, già tutti, chi più chi meno, sporchi di celluloide, ma con gli occhi ancora chiusi dei cuccioli di cinefili, ci avvicinammo a Rainer Werner a piccoli passi, nella sala Sbargioff, del mitico Tigre, ancora in allestimento. Ricordo ancora la perplessità di fronte ad uno schermo di una dozzina circa di pollici. Così come l'entusiasmo, pingue d'amarezza, a fine visione.
RispondiEliminaEmmi che fa la spesa nella botteguccia sotto casa, o che chiacchiera o si dispera con Alì, al tavolino in cucina, per sempre impressi.
Fassbinder ha fatto da volano alla nostra iniziativa, gli devo molto.
Grazie Bubu, ti volgio bene.
Che storia!?! A sto giro, questo è il mio regalo di compleanno per te, caro Cinerofum... Buena.
RispondiElimina