Grande serata quella di venerdì scorso, io e Marigrade all'Apollo di Milano, per Cannes 2013. Dopo l'ottima "jaula" dorata, altrettanto valido ho trovato "Il gigante egoista" (originale "The selfish giant"), film inglese che racconta un'altra storia di giovani ragazzi masticati da adulti accecati dal soldo. Regia della statunitense Clio Barnard, classe 1965 (cresciuta, però, nei luoghi tinteggiati così bene in questo ottimo film). "Quinzaine des Realisateurs".
Pellicola che è un pugno nello stomaco, visto che lì, da che mondo è mondo, sta la nostra coscienza. Come in ogni società, pur nel ricco Regno Unito si riscontrano aspetti violenti, rabbiosi della fase infantile-adolescenziale delle persone. Regna l'insulto, la parolaccia, quel "fuck" intercalare o appellativo, sulla bocca di tutti, dal meccanico al padre, dal passante al compagno di scuola, lo sfottò assillante: il quadro è davvero desolante. Sarà che va di moda negli interessanti approfondimenti (?) televisivi, però l'agghiacciante scenario presentatoci nella periferia di Bradford (Yorkshire) credo possa essere replicato in ogni parte del pianeta, bastano quattro ingredienti: un uomo, un ragazzo, una moneta e un luogo dove spenderla.
Vabbè, questa volta mi contengo. Parliamo del film. Stilisticamente perfetto. La m.d.p. guidata sapientemente. Steadicam che dopo poco pare prendere il passo e danzare invece che assecondare bruscamente dislivelli e pozzanghere. Scelta tecnica che obbliga il montaggio ad assumersi maggiore responsabilità, senza nessun timore.
La storia poi, offre uno squarcio abbastanza originale. Accostando il mondo dei cavi elettrici (furti di rame e altri metalli) a quello dei cavalli. Questo incontro conduce lo spettatore su spazi nuovi, sempre circondato da uno stridente effetto contrastante. L'animale più bello e indifeso, i giganti più sporchi e violenti. Ovviamente ne verrà fuori soltanto dolore. Dolore grigio british d'acciaio. E qua e là, giovani puledri passeggiano su carretti d'altri tempi.
Ci sarebbe di che affogare, ma la regista resta sempre a galla. Anche nelle scene più rischiose, come quella della stretta di mano (sul finale), l'autrice ne esce sugli scudi, realizzando con naturalezza e semplicità una sequenza emozionante (qualunque dettaglio cambiato avrebbe condensato in miele vecchio quelle immagini), compreso lo stacco e l'abbraccio successivo (montaggio ottimo, come detto).
Gli spunti di riflessione, non sono pedagogica e sociale, sono molti (ruolo dei genitori, della società, delle strutture preposte all'educazione o protezione dei minori; dei singoli individui), guizzano fuori di scena in scena. Sporgete il retino e servitevi.
A me questa pellicola è parsa stupenda, cercate di trovarla e ditemi la vostra.
Voto: 8.
(depa)
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